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Dall’economia non si esce economicamente. Ecco cosa ci dicono i Forconi…

Magro corsivo di Jean Mellègue da Palermo

 

A volte rido per non morire del tutto e definitivamente. E leggo articoli, saggi, libri interi di economisti che rendono ormai inestinguibile la fiamma di questo mio riso.

Solo allora comprendo che non c’è scampo alcuno nella mera rivendicazione economica. Nemmeno se fosse quella di un qualche reddito di cittadinanza che certamente ci farebbe star meglio, almeno per un po’, nell’immediatezza a rigore geologicamente istantanea delle nostre vite attualmente poverissime di immaginazione.

Dall’economia non si esce economicamente. Ormai questo dovrebbe essere chiaro a quanti pensano: ma chiaro non è, post-orwellianamente. Almeno a giudicare dalle geremiadi imbelli di quasi tutti, decrescisti efficientisti filosofi compresi.

Se, ad esempio, si cerca di capire cosa c’è dentro il movimento dei Forconi siciliano si arriva a questo: che non se ne può uscire economicamente, a dispetto di tutte o quasi le apparenze. E a dispetto, aggiungo, del fatto che i Forconi hanno tanta ragione e tanto cuore, come ragione e cuore hanno i valsusini minacciati di genocidio un giorno sì e l’altro pure dal Potere in salsa italiota… Per non dire dei pescatori pugliesi e livornesi brutalizzati davanti a Montecitorio, dei tassisti nelle cento città dal muto brulichìo, e addirittura degli odiosissmi compunti e famelici farmacisti: seppure in forma “corporativa” tutti costoro hanno ragione. Lottano contro la loro precarizzazione definitiva, già decisa fuori dall’Italia nelle “sedi” extraterritoriali dei “mercati da tranquillizzare”, altrimenti… (ma è già guerra).

Tutte le membra sparse del resto del mondo sul quale “i mercati” agiscono non sono altro che accozzaglie di miserabili fabbricati by design. Ormai ne facciamo organicamente parte quasi tutti, indipendentemente dai trascorsi. Siamo talmente tanti da poter invalidare, già solo per questo fatto, l’ipotesi della “soluzione economica” al problema mondiale e di specie generato da cinque e più secoli di capitale in action.

La partita a venire, non da ieri bensì da ier l’altro, è ovviamente fra un Soggetto Unico (appunto “i mercati” o “la comunità internazionale”) e un “disperso antagonista” senza soggettività (il resto del mondo e la specie residua). Gli stati e le grandi aree, volenti o nolenti, eseguiranno.

Per uscire dall’economia, lo suggerisce la dignità dei Forconi, abbiamo bisogno di artisti, non di economisti. Artisti di tutte le arti, compresa la prima, la sopravvivenza. E’ talmente chiaro che non occorre uscire fuori dalla Sicilia per vederlo provato: con l’oceano di denaro già creato e mangiato prima della, e a prescindere dalla, costruzione del famoso Ponte si è dimostrato il carattere stregato e allucinogeno dell’economia, al cui confronto, visto il Ponte che c’è e non c’è allo stesso tempo, la teologia medievale e i suoi celeberrimi capricci scoloriscono come un maglione di lana rossa lavato a novanta gradi e subito steso sotto l’arcobaleno… (1)

La Sicilia dei Forconi ha bisogno di un altro modo di vivere, non della riduzione del prezzo del gasolio: e in Sicilia questo sarebbe più facile da fare che altrove.

Le risorse immaginative, seppur compresse e infiltrate dall’interno, ancora ci sono. Attendono il lampo di pensieri diversi, mica le pale eoliche. E un’altra dignità, connessa a questi diversi pensieri. Avanti, Forconi di Sicilia e del continente. Così si può ragionare.

Se i decrescisti fanno venire i crampi alle budella, che dire allora di economisti sociologi e chips che ancora si interrogano se nel mondo di oggi sia più sensato, “di fronte alla crisi”, lavorare di più o di meno? (2)

Perché costoro non si interrogano altrimenti sul lavoro che, poco o molto che sia, non ha più alcun senso pratico, nel senso che non serve a far sopravvivere mentalmente le persone (la dignità) e fra un po’, anche a queste latitudini, non garantirà nemmeno un’adeguata alimentazione.

Di più o di meno… Che criminalata da zombi elzeviri, quando già sanno (e lo sanno senza mai dirvelo, obvious) che il poco o nullo lavoro dei tanti prigionieri è ruggine proveniente dalla stessa medaglia del tantissimo lavoro ammorbante degli altri… E le arance al produttore siciliano, nel di più che è di meno, vanno a cinque (5) centesimi al chilo… Il consumatore finale le paga un euro e mezzo… Ah, gli affamatori del capitale.

Più o meno lavoro, sempre i Forconi ci vorranno a farlo cambiare in qualcosa d’altro. La devastazione mentale è contemporanea ai grandi passi della penuria alimentare ed “energetica” che ci stanno fabbricando.

Con tutto questo, gli economisti “illuminati” si sono di nuovo incappucciati e catapultati in accademia a sragionare di redistribuzione del lavoro: sempre questo lavoro, dentro questo modo di vivere e di pensare. Senza dignità extraeconomica di alcun tipo: senza vita, cioè. Il futuro, se c’è, non commenta.

E poi, à la page, è arrivata ultimamente anche la moderna teoria del denaro (MMT, ma money qui è moneta, non denaro). Va bene, fra poco, con qualche radical revolution (magari new coloured) ci faremo il nostro denaro (la moneta) da “sovrani” e lo sostituiremo al denaro (la moneta) oggi comprato dai Sovrani e fatto pagare (a suon di pluslavoro) a noi. Al che lavoreremo più contenti.

Hanno ragione gli economisti MMT: un po’ di gente in diversi paesi riusciremo senz’altro a sottrarla all’indebitamento a vita: risultato apprezzabile che tuttavia, sul piano (dicesi in diocesi) “materiale” e “spirituale”, non salverà nessuno. E i Forconi questo lo sanno… Il Potere si rimangerà la nostra “moneta sovrana” dopo un periodo di “concessioni”. Come far uscire il veleno mortale dalla finestra della moneta per farlo rientrare dalla porta del denaro… Essi sono maestri in ciò… Chi se ne alletta?

Ad occhio e ad orecchio, sentito dalla viva voce dei suoi pensatori, il disegno dei Forconi è questo: occorre prima togliere tutte le porte e le finestre da questa casa. Poi, areati gli spazi (per far uscire tutti i virus artatamente introdotti dall’élite dominante), procedere alla demolizione controllata della casa (dal tetto alle fondamenta, si raccomandano) e intanto uscire fuori per non beccarsi in testa le macerie e per costruirne un’altra (ancora dal tetto alle fondamenta, non vogliono prendere ed essere presi in giro). Finché una nuova casa non sarà pronta, almeno come abbozzo di idee, meglio restare all’aria aperta e dormire nel bosco o in tenda. Almeno, se “in transizione” si muore, non è perché il tetto della nuova casa, ancora non formata, ti cade in testa: il tetto mai prima pensato, dicono con sapienza popolare sicula, è facile che non riesca bene al primo tentativo…

Insomma: proteggersi la testa dal vecchio e dal nuovo. E intanto immaginare altro, non più l’economico, senza più calcoli, rese e profitti. Sempre senza dimenticare di tenere accanto il Forcone mentre si dorme. Perché, come argomenta uno dei più lucidi fra i Forconi che ho sentito parlare in mezzo alla strada, non bisogna mai dover dire grazie a qualcuno, se non «… grazie alla dignità che rivogliamo nostra… Non si uccide solo sparando… ma con la disperazione… i padri di famiglia, che li costringi ad andare alla Caritas a chiedere un pacco di pasta… Vergogna!! Parlate voi di crisi… I soldi sono del popolo… E ancora venite a fare la filosofia, la filosofia nella politica… Non è stato il cielo a [produrre] questa calamità… Avete dato il potere alla finanza, una finanza che decide chi morire e chi vivere… Dove sono i valori degli uomini?».

La lezione dei Forconi è profonda e chiara allo stesso tempo.

Se ne deve uscire, se ne può uscire. Ma non economicamente.

Se questa base cognitiva c’è, sul come si può cominciare a discutere e nessuno la sa più lunga degli altri.

Che vivano i Forconi.

 

(1) Cfr. A. Mazzeo, I padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Edizioni Alegre, 2010.

(2) Cfr., da utimo, il video About time – Examining the case for a shorter working week , in www.neweconomics.org, 17-01-2012, con interventi di Lord Skidelsky, Juliet Schor e Tim Jackson.

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