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juan de mairena

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Gli inganni della propaganda intellettuale odierna

  Indice

1. Premessa

 2. Gli argomenti del cliché

 3. Il mondo alla rovescia della propaganda

 4. Le imposture dei media e dei loro funzionari

 5. I castelli in aria della scienza

 6. Scienza e teologia

 7. Disegni convergenti

 1. Premessa

Di norma, quando si pensa alla scienza ci si immagina una sorta di regno del rigore concettuale, della dimostrazione impeccabile, della logica geometrica e del nitore intellettuale. Di solito, questo è il ritratto della conoscenza razionale che affiora nell´immaginario sociale. Un sapere rigoroso, testato da ripetute esperienze empiriche, che ci svela il comportamento dei fenomeni naturali. Del resto, che una spiegazione scientifica della natura debba essere in sé coerente, e non possa fare a meno di questo suo status preliminare, è un fatto che discende dalla stessa ragion d´essere della scienza e dai suoi scopi istituzionali. Come potremmo, infatti, mai sottoporre a controllo sperimentale una teoria che fosse contraddittoria? Poiché ex falso quodlibet, il principio di coerenza, oltre ad essere un prerequisito basilare dell´intendersi reciproco, costituisce una premessa irrinunciabile di qualunque rappresentazione scientifica del mondo reale.

È sempre rispettato questo principio negli ambienti scientifici odierni? Poiché è la cartina di tornasole di ogni spiegazione razionale, dovrebbe esserlo ed inoltre dovrebbe rappresentare un imperativo professionale ed etico degli scienziati nel loro complesso. In fin dei conti, come ha asserito un noto fisico statunitense, Frank Tipler, la scienza implica l´etica e non può farne a meno. A quanto pare, tuttavia, le cose non stanno affatto così. Prendiamo ad esempio il caso di Bruno Giorgini, un ricercatore del Dipartimento di Fisica dell´Università di Bologna (forse poco diverso in questo da qualsiasi altro dipartimento italiano e forse occidentale di fisica). In questi giorni, Giorgini ha pubblicato un documento – Scienza & Democrazia – che fa da cornice d´insieme ad un ciclo di seminari che avranno luogo in città nel corso del 2010 e che saranno «un´occasione», così si dice, «per studiare, approfondire e riflettere». Vale la pena commentare brevemente l´immagine della scienza che emerge dal pensiero di questo studioso. Per cinque ragioni sostanzialmente:

  • Sia perché l´Università di Bologna è pur sempre un´istituzione pubblica e le opinioni che circolano al suo interno, come quelle di qualunque altra importante università italiana ed europea, si espongono istituzionalmente al dibattito e all´analisi;

  • Sia perché del resto, come si avrà modo di vedere più avanti, la discussione pubblica del pensiero scientifico, «per mostrarne le nervature strutturali», qualunque cosa ciò voglia dire, «e le contraddizioni» interne a tutti gli interlocutori, è precisamente uno dei fini dichiarati dell´impresa;

  • Sia perché quello che viene detto a Bologna potrebbe esser detto dappertutto e dunque a modo suo rappresenta un vero e proprio case study;
  • Sia perché si presume che rappresenti le tendenze prevalenti della comunità scientifica di cui fa parte o in subordine, quanto meno, della fisica odierna;

  • Sia infine perché il paesaggio scientifico disegnato dalla sua interpretazione delle cose costituisce un modello insuperabile di dissimulazione e di depistaggio.

In questo ultimo addebito non c´è niente di personale naturalmente. Al contrario, anzi. Assumo infatti che il rendiconto in causa sia pur sempre l´espressione di un punto di vista disinteressato e fedele, non artefatto né mendace, sullo stato dell´arte all´interno della disciplina. La sua natura paradossalmente fittizia, come si vedrà, emerge piuttosto da sola, di fatto, dal complesso delle ragioni di cui si nutre il suo dire. Proprio perché sono vere, in altre parole, si dimostreranno false alla prova dei fatti.

2. Gli argomenti del cliché

A fini di chiarezza e per meglio comprendere i sottili significati di cui si sostanzia l´interpretazione in oggetto, distinguo la complessa spiegazione di Giorgini in una sorta di rubrica ragionata in cui vengono inventariati i diversi argomenti addotti per supportarla.

Figure di una mitologia scientifica

I.

In primo luogo, la scienza «è fondata su determinazioni e simmetrie eterne ed oggettive, eternamente ordinate e ripetibili, quindi prevedibili»;

II.

da questo punto di vista, la scienza si differenzia dal regno del «desiderio, del caso, del libero arbitrio, della soggettività, in ultima analisi della politica»: questi domini, infatti, rappresentano «le scienze delle narrazioni tipicamente umane, dove regnano l´unicità, il caso, l´imprevedibile, l´irreversibile»;

III.

la scienza fa tesoro del «metodo critico dialettico» di Karl Popper, metodo «che s´invera nella possibilità di falsificazione» delle nostre spiegazioni dei fenomeni da parte di teorie alternative o da parte dell´esperienza: lo scienziato è una persona che «tenta di falsificare o corroborare la tesi esposta» dal proprio interlocutore o da un´altra scuola di pensiero;

IV.

«La ricerca scientifica e l´invenzione tecnologica sono state lo strumento principale per l´evoluzione umana», in quanto «la strategia evolutiva inventata dall´umanità» – vale a dire, la «strategia del dominio dell´uomo sulla natura» – ci ha permesso «di piegare la natura ai nostri bisogni e di costruire una seconda natura», un grembo artificiale (urbano, biologico e tecnologico) entro il quale la nostra specie ha potuto prosperare per migliaia di anni;

V.

la scienza ha potuto conseguire questi risultati perché in fin dei conti, così perlomeno si afferma sulla scia di Freeman Dyson, è sempre stata «un´alleanza di spiriti liberi», sia in lotta «contro la tirannide» (e «la scienza come sovversione ha una lunga storia»), sia capace di scoprire la natura delle cose tramite «l´invenzione di un linguaggio», fatto che tanto rappresenta «uno straordinario esempio di metodo scientifico», quanto la fonte da cui «si dipana la filosofia naturale fino ai nostri giorni». Con le classiche parole di Einstein, si potrebbe forse dire, a questo punto, che tutte le teorie scientifiche sono sempre state «libere invenzioni della mente umana»;

VI.

da questo punto di vista, si sostiene, il metodo scientifico prende le mosse «dalla critica galileiana del principio d´autorità», si assoggetta esclusivamente al responso dell´esperienza – la cosiddetta «court of last resort» delle teorie, come recita la formula canonica della fisica ufficiale – e si presenta dunque come un sapere che gode di una «totale o quasi libertà intellettuale di ricerca»;

VII.

di conseguenza, la scienza rappresenta anche una grande scuola di democrazia, perché in fin dei conti in origine «scienza e democrazia nascono insieme, intrecciate», all´interno dell´agorà e nel «cuore della polis» greca d´epoca classica, e di pari passo possono nuovamente sviluppare la loro tendenze naturali «in un concreto dispiegarsi di programmi e azioni»;

VIII.

il solo modo di corrispondere alla natura più autentica della scienza e fronteggiare i problemi emergenti è quello di introdurre «la scienza, le scienze, nello spazio del dibattito pubblico e della critica sociale». Insomma, si sente «la necessità di una mediazione teorica e critica» che consenta «la trasformazione della scienza, delle scienze, finanche dei suoi metodi e della sua organizzazione» attraverso «una politica democratica di partecipazione alla costruzione e diffusione della conoscenza scientifica». In altri termini: «I cittadini devono entrare nei laboratori e i ricercatori tornare nelle strade, parlando la lingua del popolo»;

IX.

nonostante il fatto che l´esistenza di una «authority scientifica», di «una razionalità condivisa tra i cittadini», persino la promozione del «progresso tecnico scientifico», vengano ostacolati dalla «ideologia e/o dagli interessi di parte» che si annidano nei «semplici rapporti di forza accademici (che possono essere molto brutali nonché ottusi)», è comunque possibile una «politica di cooperazione» tra tutti i cittadini che porti ad «una politica di diffusione dei risultati delle ricerche scientifiche e della conoscenza, nonché dei programmi di ricerca»;

X.

l´etica insita nella scienza, se ha permesso ad una parte della comunità scientifica, all´epoca del “progetto Manhattan”, di manifestare «il suo dissenso» nei confronti «dell´uso dell´arma atomica», nello stesso tempo ci consente oggi di opporci al «delirio» della biotecnologia e dell´ingegneria genetica, interessate a realizzare sperimentazioni «nei laboratori di mezzo mondo», che vorrebbero «manipolare la coscienza» dell´uomo;

I «seminari di scienza e democrazia» dovrebbero dunque essere i «motori» culturali di questo «nuovo contratto» tra scienza e cittadini, la fonte che ci potrebbe consentire «di tornare alla sovversione galileiana, alla Rivoluzione Copernicana» e sottoscrivere così «un contratto di equità», ovvero di uguaglianza, «tra l´uomo e la natura non più basato sul dominio» e sull´esistenza solitaria della nostra specie come signora e padrona del mondo.

  1. Il mondo alla rovescia della propaganda

Il quadro di sintesi sopra descritto costituisce un sistema di enunciati estremamente fitto e solidale, in cui i singoli anelli della catena si tengono insieme l´un l´altro. In linea di principio, se il primo saltasse, si avrebbe un effetto domino epistemologico, a conclusione del quale ci ritroveremmo solo con un cumulo di polvere. È possibile dimostrare che si tratta di un unico, immaginario castello di sabbia? Si, lo è. Per poterlo provare nella maniera più semplice e chiara, conviene prendere in considerazione i diversi argomenti uno per uno e mostrarne la natura intimamente doppia.

Primo enunciato

A) Se fosse vera, visto che presume l´esistenza di un ordine deterministico del reale, la prima statuizione entrerebbe subito in rotta di collisione tanto con la teoria del caos, la scuola scientifica capeggiata a suo tempo da Ilya Prigogine, quanto ancor di più con la teoria quantistica odierna (QT), il paradigma attualmente dominante all´interno della fisica internazionale. Entrambi gli indirizzi infatti, e si tratta di due correnti prevalenti della comunità scientifica ufficiale, comprendenti fisici internazionali come Roland Omnès e premi Nobel per la fisica come Georges Charpak, sostengono che il determinismo della natura è morto e sepolto e la conoscenza umana oggi ha carattere solo aleatorio e stocastico, basato su algoritmi e ricette matematiche di tipo probabilistico. L´evoluzione temporale dei fenomeni naturali diventa così in sostanza imprevedibile con assoluta certezza. Il che mette nelle nostre mani un sapere fondamentalmente provvisorio e fallibile (per quanto determinato e umanamente affidabile o FAPP come diceva John Bell, vale a dire utile For All Practical Purpose). Cosa di più paradossale che sostenere l´ordine deterministico della natura in un contesto quantistico che lo proscrive?

B) D´altro canto, esistono scuole scientifiche, interne ed esterne alla QT, che sostengono apertamente la forma deterministica del mondo fisico, giacché senza questa premessa addirittura la scienza risulterebbe impossibile come conoscenza razionale dell´universo. Ne fanno, cioè, una ragion d´essere della sua stessa esistenza e del suo status privilegiato nell´ambito dei saperi sociali. Nell´Ottocento questa convinzione era oro colato per la comunità scientifica del tempo e rappresentava il fondamento primo della sua logica induttiva e del suo apparente successo esplicativo. Tra Ottocento e Novecento Max Planck, Henry Poincaré, lo stesso Einstein, probabilmente l´ultimo fisico classico del XX secolo, e poi René Thom, Henry Stapp, John S. Bell, David Bohm, in tempi più recenti hanno più volte confermato l´attualità e financo la necessità del determinismo per ogni spiegazione conseguente della natura.

C) Il profilo altamente contraddittorio delle due tendenze, entrambe nate e cresciute entro la scienza contemporanea e spesso interne l´una all´altra, oltre a metterci di fronte ad una situazione davvero paradossale per il presunto regno dello spirito razionale, nondimeno smentiscono ambedue lo stesso il primo enunciato che si sta discutendo. La prima scuola lo fa in modo diretto non appena formula i suoi ultimi principi epistemologici. D´altro canto, lo farebbe ugualmente anche se si dimostrasse che ha torto, come ora vedremo. La seconda, d´altra parte, nel mentre sembra corroborare, a rovescio, la tesi di Giorgini e refutare per converso l´altra tendenza, in realtà invalida da sola i propri argomenti, mettendo capo per di più ad esiti eversivi per la scienza nel suo complesso. Vediamo i singoli bandoli di questa matassa.

In primo luogo, la morte del determinismo postulata dalla prima tendenza assume a sua volta che il soggetto scientifico abbia a che fare solo con i fenomeni osservabili e misurabili constatabili nel dominio dell´esperienza. Tuttavia, nella stessa misura in cui assume che esistano solo i fenomeni, visto che questi ultimi, come recita il loro stesso nome, debbono essere l´apparizione e la manifestazione di qualcosa, deve presupporre e non può fare a meno di farlo che essi emergano da un qualche loro fondamento sottostante di natura legisimile. Senza un qualche loro ordine sovrano implicito, i fenomeni non avrebbero mai potuto dar vita al mondo organizzato che vediamo e che è indispensabile all´esistenza della vita sul pianeta (inclusa la nostra specie). Ergo, gli argomenti di cui si nutre la prima scuola implicano il loro contrario e dunque si contraddicono, dovendo presupporre come vero e necessario ciò che invece, per essenziali ragioni di principio, avrebbero voluto vietare. Ciò tuttavia, al colmo del paradosso, non significa affatto che diventi confermata automaticamente la tesi opposta. Se è certo surreale che la QT confuti se stessa, non per questo tale inatteso e indesiderato approdo autentica l´altra tendenza. Tutto il contrario semmai.

In secondo luogo, infatti, il determinismo della natura, per quanto pensabile da parte della nostra mente e financo indispensabile alla scienza per poter immaginare l´esistenza di un mondo fisico ordinato e stabile, la cui stoffa consta di regolarità monotone e provvidenziali, non è tuttavia in alcun modo testabile e ne è dunque impossibile – in linea di principio e non per ragioni accidentali – il controllo sperimentale. Ergo, ci troviamo nella condizione di doverne supporre l´esistenza, ma nella contemporanea impossibilità di poterne provare la presenza. Il fatto è che se il determinismo è vero, è indimostrabile, e se non ce ne fosse bisogno, ci sarebbe necessario, giacché anche solo poter presumere che esistano unicamente i fenomeni osservabili, è un atto che implica ed esige che si postuli un secondo livello di realtà sottostante al mondo visibile degli enti fisici, al loro apparente ordinamento sistematico.

D) Se le cose stanno così, è allora evidente intanto il fatto che con l´insieme concatenato di questi vincoli, contrariamente a quanto si riteneva, non ci è letteralmente più possibile mettere capo:

I. né a verità «eternamente ordinate»,

II. né tanto meno a teorie «eterne ed oggettive»,

III. né infine ad alcuna spiegazione di «regolarità ripetibili e quindi prevedibili».

Nessuna di queste statuizioni supera il test di controllo del principio di coerenza e quindi debbono tutte ritenersi inesistenti. Oltretutto, poiché presuppongono un fondamento legisimile del tutto inconoscibile, le regolarità osservabili nel dominio empirico dei fenomeni non possono essere ritenute ricorrenze effettive. Per poterle considerare tali, infatti, avremmo prima dovuto dimostrare che rappresentano effetti ordinati di una causa causarum anteriore e più profonda rispetto al loro immediato carattere visibile e additabile. Siccome non possiamo farlo innanzitutto in ragione dello stesso motivo per cui dovremmo, ecco che quella strada ci è preclusa e non potremo mai calcarla. Stando così le cose, come ci ha spiegato David Bohm in un suo splendido aforisma, ogni qualvolta la scienza dice che qualcosa è, non è. E d´altronde, se le fondamenta dell´intero edificio e financo i suoi mattoni constano di materia immaginaria, si potrà mai pretendere poi che i suoi singoli piani e le sue diverse, opulente suite – classiche, moderne, barocche, postmoderne, ecc. – siano fatte di oggetti fisici e arredi reali, tangibili?

E) I multipli riscontri succitati, qualunque sia poi la strada imboccata dalla scienza – esistono solo i fenomeni osservabili oppure essi presuppongono un ordine sovrano sottostante alla loro esistenza –, ci impongono di constatare il fatto che in tutti i casi in questione noi abbiamo a che fare solo con complessi set di nostre assunzioni, con una sorta di pangea cognitiva ed un variopinto universo d´idee avente le sue origini esclusivamente nella nostra mente. Questa fonte e questa natura della scienza sanciscono la fine di ogni mito dell´oggettività e di ogni conoscenza avalutativa, super partes, non arbitraria, indifferente ai valori societari e disinteressata, completamente disincarnata e avente come proprio esclusivo fine la comprensione della verità, la definizione di un sapere senza l´osservatore.

Gli scienziati, anche se sono restii, comprensibilmente, viste le implicazioni di una tale ammissione, a riconoscerlo apertamente, lo sanno bene. Sin dagli inizi.

Perlomeno sin da quando William Whewell, sulla scia del resto di un classico come Isaac Newton e persino del materialista Thomas Henry Huxley, sulla carta «il rottweiler di Darwin» e dell´evoluzionismo, spiegava al pubblico colto europeo dell´Ottocento che «la natura della scienza è puramente intellettuale e solo la conoscenza è il suo oggetto».

Sin da quando un fisico del calibro di Erwin Schrödinger, in pieno Novecento, ci faceva sapere che «la mente ha fatto emergere il mondo esterno oggettivo del filosofo naturale dalla sua propria materia», tanto che la presunta differenza tra le due sfere di realtà «non esiste».

Sin da quando un fisico quantistico di fama internazionale come Bernard d´Espagnat, eminente esponente di punta della comunità scientifica dell´Occidente, ci ha reso noto che «tutta la conoscenza umana è costituita da assunzioni».

Sin da quando comunque, in tempi a noi ancora più vicini, Humberto Maturana, il famoso scienziato cileno inventore dell´autopoiesi, ci ha spiegato che nella scienza «tutto è cognitivo», incluso il Big Bang, gli innumerevoli enti esotici che popolano la fisica delle particelle e naturalmente le sofisticate categorie della biologia nel suo complesso.

Sin da quando, l´altro ieri si potrebbe, dire un Accademico di Francia autorevole come François Jacob ci ha infine rivelato una conclusiva verità: «tutto ciò che pensiamo di conoscere in merito al mondo è basato su assunzioni». Vale a dire, si noti la cosa, su principi di ragione indimostrabili, e in quanto tali non-scientifici, giacché in nessun modo assoggettabili ad un qualche controllo da parte di nostri test sperimentali (circostanza che d´altro canto, se fosse realizzabile, avrebbe ben poco senso, giacché qualunque set di concetti non dedotto dall´esperienza, non avendo alcun legame di sangue con questo suolo induttivo, nemmeno potrebbe mai essere sottoposto al suo vaglio, in quanto incommensurabile con la sua natura).

F) Questo inconfessabile e inammissibile sfondo concettuale, inconcepibile per la celebrata logica razionalistica della ragione formale, ma emergente comunque dal suo stesso seno, si trova all´origine anche della logica versatile che si annida all´interno del pensiero scientifico e che si esprime, come si è visto, in una rete flessibile di concetti in grado di fronteggiare più dispute, tra l´altro simultanee, con paradigmi diversi e di far ricorso ad uno sciame di argomenti per tutelare il suo status e scongiurare in anticipo ogni sua, sempre possibile, confutazione da parte di concezioni avverse.

Inoltre, tramite il suo congenito eclettismo intellettuale la scienza, al colmo del suo potere di dissimulazione, è in grado di secernere dal proprio interno anche una varietà di scuole e di tendenze che sembrano presentarla, e di fatto la configurano agli occhi dei soggetti sociali e dell´opinione pubblica domestica e planetaria, come un dominio in cui proliferano in continuazione alternative epistemologiche e modelli esplicativi che la fanno apparire a loro volta come la quintessenza del sapere critico per eccellenza, dinamico, fertile e in costante divenire.

La nascita di questa essenziale forma mentis nell´ambito della scienza, impagabile per le funzioni a cui adempie, rappresenta un fatto che, per un verso, ci è provato dal timore di Einstein di veder svanire con la QT lo status impersonale e oggettivo, e in questo senso aristocratico, della fisica classica e della scienza occidentale più in generale rispetto a tutte le altre forme della cultura sociale. La sua insistenza sul ruolo dell´osservatore tanto nell´organizzare le esperienze, quanto nel determinare i risultati dei test, sembrava infatti portare al tramonto della conoscenza senza l´osservatore e di conseguenza pareva inoculare nella scienza i suoi punti di vista, le sue idiosincrasie, la sue preferenze personali, ecc., reincorporando così l´arbitrario e il soggettivo nel tempio della conoscenza disinteressata. Per l´altro verso, viene comunque portato in primo piano dall´esistenza, a prima vista incomprensibile e financo pregiudiziale per l´unità della scienza, di tutti quegli indirizzi in apparente conflitto reciproco tra loro, tanto all´interno della comunità scientifica nel suo complesso tra una scuola e l´altra (tra neurobiologia e QT ad es.), quanto all´interno di una medesima disciplina (la fisica odierna ad es., e in quest´ambito sia tra tendenze diverse afferenti alla QT, sia tra quest´ultima e l´impostazione classica).

D´altra parte, un panorama intellettuale così variegato e complesso, più simile ad un fiume carsico che ad un pensiero condiviso da tutti gli interlocutori, è la condizione anche che spiega il successo della strategia attivata dalla scienza sin dai suoi esordi nel mondo occidentale. Si faccia mente locale, ad esempio, alle seguenti sue caratteristiche:

In primo luogo, nel contesto sopra descritto la supposta esistenza soltanto dei fenomeni permetteva alla scienza d´eleggere a incontrastato principio epistemologico regnante l´aforisma principe del positivismo e del pragmatismo tipici dell´Ottocento e del Novecento, rappresentati in modo esemplare oltretutto dal Circolo di Vienna e dalle sue distinzioni cosiddette antimetafisiche: si può conoscere solo ciò che si può misurare ed è vero ciò che funziona. Ripetuto talis et qualis dalla fisica ancora oggi, questo duplice enunciato permetteva in qualche modo di salvare il volto avalutativo della scienza, giacché in questo nuovo, astuto stato delle cose il reale finiva con l´essere reso identico all´osservabile e la spiegazione di quest´ultimo tramite i sistemi di equazioni della QT equivaleva di fatto ad una spiegazione dei fenomeni fisici e della natura, giacché quest´ultima, preventivamente, era stata a sua volta fatta diventare uguale ai dati e ai fatti tangibili. In questa surreale notte intellettuale d´impronta scientifica, tutte le vacche potevano diventare grigie e si poteva con agio far sparire dalla scena la crux rappresentata dall´esistenza di un ordine sovrano del mondo sottostante l´esperienza ordinaria. Per poter immaginare il suo straordinario rilievo, è sufficiente del resto fare mente locale al fatto che esso doveva essere dato per scontato persino quando si presumeva di poterne fare a meno. Farlo scomparire dal novero delle cose degne di considerazione era dunque essenziale per il successo della dissimulazione.

In secondo luogo, d´altro canto, per dire delle performance di cui è capace la ragione versatile in questione, la presenza di un ordine sovrano alle spalle dei fenomeni poteva convivere tranquillamente con l´altra impostazione, giacché essendo inconoscibile, per quanto pensabile, non avrebbe mai potuto essere testato e dunque lo si poteva considerare, in linea di principio, non vincolante per quanto indispensabile nell´analisi della realtà fisica. Oltretutto, per dire nuovamente del surreale ma estremamente disinvolto virtuosismo di questa logica, tale conclusione spalancava nuovamente le porte alla tendenza opposta, giacché ora paradossalmente si poteva concentrare tutta l´attenzione della ricerca solo sui fenomeni osservabili, in quanto la loro interpretazione poteva presumere come loro sfondo legiforme e fonte di regolarità la provvidenziale monotonia di quel sostrato, un “réel voilé”, per mutuare da d´Espagnat un´efficace formula di sintesi, che poteva fare da causa causarum al mondo empirico senza per questo poter o dover diventare oggetto di scienza (un´eventualità, questa, addirittura vietata dalla sua natura).

Entrambe le strade del resto sono state percorse e vengono calcate ancor oggi, come si è visto, dalla comunità scientifica odierna, spesso entro una stessa scuola e sovente da parte di uno stesso scienziato (fisico, biologo, matematico, ecc., poco importa: le frontiere disciplinari evidentemente non sono muri invalicabili). Le due vie in questione, naturalmente, pur essendo afflitte dai rompicapo già additati, sono però estremamente funzionali ai fini che si volevano raggiungere:

  • La prima, infatti, tende a liquidare esplicitamente il determinismo e non ne ha più bisogno perché può utilizzare per la propria corroborazione apparentemente impersonale il pragmatismo sperimentale, il successo probabilistico dell´esperienza organizzata in condizioni ripetibili ma confinata nel mondo dell´empiria. Poco importa al suo spirito positivistico, ovviamente, che l´intero sistema delle sue dimostrazioni rappresenti solo un enorme castello in aria di stoffa cognitiva. La cosa importante, dal suo punto di vista, è che sia stata scongiurata la crux insita nello stesso nome dell´oggetto – i fenomeni naturali, per definizione dipendenti dal loro sostrato ed emergenti da questo – che presume di aver spiegato;
  • La seconda, del pari, scongiura le insidie annidate nel presupporre l´esistenza di un ordine sovrano – categoria questa eminentemente a-scientifica, di sicuro comunque, per gli stessi standard della fisica attuale, non-scientifica – alle spalle dei fenomeni postulandone la presenza e la funzione connettiva ma considerandola allo stesso tempo ininfluente, in quanto inintelligibile da parte del nostro intelletto e non assoggettabile in alcun modo alla court of last resort dell´esperienza. Circostanza, quest´ultima, che assimila tale tendenza, in definitiva, ad una diversa forma di pragmatismo epistemologico.

Endbahnhof

Alternando e intrecciando tutti gli argomenti appena visti, spesso usandoli contestualmente, con una disinvoltura e una nonchalance invidiabile, da vero doppiogiochista e opportunista concettuale: insomma truccando le regole del gioco prima, durante e dopo la partita, la scienza si è dotata di una flessibilità e versatilità intellettuali che le ha permesso finora di resistere ad ogni critica, di far fronte ad ogni obiezione e a ogni tentativo di confutazione. Anche se oggi è divenuto possibile additarne la natura contraddittoria e mostrarne l´ambiguo volto, funzionale è vero al suo primato sociale, tutte le prove che si sono accumulate in precedenza dovrebbero poter dimostrare che la fisica, o la scienza se si vuole, non è affatto un sistema di conoscenza oggettivo del mondo materiale, né tanto meno un pensiero disinteressato. Al contrario, rappresenta un pensiero preformato della società del capitale in cui è nata ed ha conosciuto la sua più rigogliosa fioritura fino a diventare l´Amazzonia concettuale che attualmente è. D´altro canto, se non lo è, non può in pari tempo più rappresentare un sapere neutrale e quindi, secondo il biologo Edoardo Boncinelli, nemmeno può più essere. Paradossale ma vero. In pieno accordo, per di più, con gli stessi severi enunciati della comunità scientifica ufficiale dell´Occidente.

Secondo enunciato

Se veramente la scienza si differenziasse dal mondo della politica nel senso sopra definito e avesse effettivamente natura distinta dal regno delle passioni umane, in cui imperano il libero arbitrio, il caso, la soggettività, l´imprevedibile, ecc, diventerebbe impossibile affidare alla decisione politica, come invece si pretende di poter fare, «la missione» di realizzare, «costruire e sviluppare», nella società civile «una cultura tecnico-scientifica diffusa». Per due ragioni fondamentali sostanzialmente.

  • Da un lato, perché saperi e condotte di specie diversa e con un genoma culturale realmente differente non possono in alcun modo fecondarsi a vicenda. Per poterlo fare, infatti, dovrebbero avere qualche tratto in comune. Ma non ne hanno, per definizione. Sarebbe come pretendere di poter veder nascere l´ippogrifo dall´accoppiamento tra un cavallo e un grifone reali;

  • Dall´altro lato, dovremmo contestualmente ammettere, fatto che ha nuovamente del paradossale, che una logica occasionale ed erratica come quella del potere, in cui si gestiscono instabili rapporti di dominio tra i soggetti sociali e il governo delle moltitudini, in cui imperano la forza e l´astuzia, possa generare il suo contrario, vale a dire il tempio avalutativo della conoscenza oggettiva. Come ha notato il fisico statunitense Sidney Drell, «le leggi della fisica sono immutabili, quelle della politica cambiano tutto il tempo». Nel mondo della scienza, insomma, prosegue Drell, «le regole sono basate sulla logica», mentre nel mondo del potere «le regole sono basate sulla natura umana» e i suoi contegni arbitrari e perciò delle «decisioni debbono in ogni modo essere prese».

Alla luce di queste considerazioni, la pretesa in oggetto è destituita di ogni fondamento e nasce dunque confutata dai suoi stessi argomenti.

Terzo enunciato

A differenza di quello che si crede o che si vorrebbe far credere, Karl Popper è stato più un maestro della dissimulazione epistemologica, interessata a vietare ogni comprensione della natura della scienza, che il fautore di un del resto inesistente «metodo critico dialettico». Oltretutto, che la sua concezione sia estranea agli ambienti scientifici ci è provato dagli stessi addetti ai lavori.

  • Prima di tutto, la cosiddetta procedura di falsificazione del filosofo anglo-austriaco, dipendente a sua volta da una indimostrabile logica induttiva preliminare, risulta infatti essere disattesa, secondo Marcello Cini, un fisico di professione, proprio da coloro che per primi avrebbero dovuto praticarla: gli scienziati. Non solo.

  • Ad avviso di François Jacob, infatti, è «un errore credere che nel dialogo tra la teoria e l´esperienza la parola spetti innanzitutto ai fatti! Una tale convinzione è semplicemente falsa. Nel mondo scientifico è sempre la teoria che ha la precedenza».
  • Infine, a parere di Gerard Holton, il fisico statunitense che cura la pubblicazione degli scritti di Albert Einstein per la Princeton University Press, la convenzionale immagine dello scienziato che accetta la confutazione della sua teoria da parte di dati test d´esperienza è solo «uno stereotipo» senza riscontro alcuno nella realtà delle cose.

Ergo, anche il celebrato principio di Popper è solo «un mito» che non è mai esistito nella storia della scienza. Anche questo soggetto sparisce dunque dalla scena intellettuale dei sistemi di conoscenza dell´Occidente.

Quarto enunciato

Anche in questo contesto, in pratica, si sostengono due enunciazioni contraddittorie che si elidono a vicenda e vengono dunque rese false dagli stessi argomenti di cui consta la loro natura.

  • Se infatti si presuppone che «la ricerca scientifica e l´invenzione tecnologica siano state lo strumento principale dell´evoluzione umana», si fa dipendere quest´ultimo processo naturale, retto da leggi bio-fisiche oggettive ed extra-umane, dalla cultura dell´uomo e della sua comunità, come se il nostro cervello, invece di essere l´incarnazione biologica della natura, potesse generare esso stesso, tramite i suoi artifici tecnici, lo sviluppo della nostra specie. Il che non può essere;

  • D´altro canto, se si sostiene, come si è fatto, che le nostre facoltà cognitive e l´intera nostra sfera sensoriale sono «proprietà della natura (del mondo) che si esprimono nella specie umana», si mette capo ad un enunciato contrario a quanto prima statuito, smentendo in tal modo in questo approdo la premessa da cui all´inizio si erano prese le mosse.

Insomma, se si ritiene vera la prima tesi, non è poi più possibile sostenere la successiva. D´altra parte, se si assume la verità della seconda, ci è vietato per ragioni di coerenza poter dare per scontata quella di partenza e presupporla fondata. Come si dice, tra i due corni del dilemma, tertium non datur. Se nonostante tutto questo, cioè nonostante la conclamata contraddittorietà della spiegazione in questione, si sposano ad un tempo i due argomenti e li si presenta entrambi come veri, ciò può voler dire solo una cosa. La seguente. Che si secerne una spiegazione non valida dello stato delle cose e si mette capo solo alla sua refutazione da parte della stoffa di cui è fatto il suo habitus mentale.

Quinto enunciato

 

Se fosse vero che le teorie scientifiche sono interpretabili come «libere invenzioni» della nostra mente, da questo semplice punto di vista deriverebbe un intero sciame di constatazioni contrarie.

  • In primo luogo, non sarebbe più possibile ritenere i nostri sistemi di conoscenza il frutto cognitivo più maturo della nostra evoluzione biologica;

  • In secondo luogo, non sarebbe più possibile ritenere il pensiero scientifico un sapere induttivo che intrattiene un rapporto di filiazione con l´esperienza;

  • Di conseguenza, in terzo luogo, ci diverrebbe paradossalmente vietato poter riferire le nostre spiegazioni dei fenomeni alla realtà osservabile, perché questa non potrebbe più essere ritenuta la loro fonte;

  • D´altro canto, in quarto luogo, paradosso dei paradossi, se le nostre teorie fossero stati frutti intellettuali dell´osservazione, non potrebbero aver avuto origine dalla nostra mente;
  • A seguire da tutto ciò, in quinto luogo, dovremmo mettere capo a descrizioni del mondo empirico che in ragione della loro natura non possono esserlo, giacché hanno avuto la loro origine da un’altra causa;
  • Infine, ci diventerebbe impossibile persino poter procedere a controlli sperimentali delle nostre teorie, giacché i test d´esperienza hanno senso solo in presenza di una qualche parentela tra la natura delle due sfere, tra il mondo del pensiero e quello dei fenomeni.

Alla luce di questo folto corteo di paradossi e rompicapo insolubili, se ne deve concludere che anche questo argomento nasce confutato innanzitutto dai contraddittori significati di cui si sostanzia la sua analisi delle cose.

Sesto enunciato

 

Se veramente si credesse che la scienza si fonda sulla negazione del «principio d´autorità» e s´identifica con una «totale libertà di ricerca», in pratica questa presunzione verrebbe smentita dalla stessa «court of last resort» dell´esperienza, l´assise suprema della dimostrazione, quanto meno nella variante stereotipa della razionalità scientifica, che decreta la verità o meno di una data teoria.

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