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juan de mairena

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Intervista a Platone

In esclusiva universale

Faremondo intervista Platone sulla crisi greca

1.

  • (F.) Come vede, Lei, Maestro, i recenti fatti di Grecia, il capestro ciondolante sulla popolazione, la rivolta, i primi morti…?
  • (P.) Non li vedo proprio questi fatti. Cioè, per vederli penso ad altro. Ad un barcone di folli che non sta nemmeno nel Mediterraneo, tanto è grande. Lei ne ha idea?
  • (F.) Beh, cerco di immaginare, Maestro…
  • (P.) Bene, mentre lei cerca di immaginare io le dico che i Greci non ne hanno idea. Non ce l’hanno i Siracusani, né quelli che voi chiamate Italioti, e nemmeno i legnosi che chiamate Tedeschi. Figuriamoci quegli altri, i vostri Francesi. E lasciamo alle loro allucinazioni i parenti dei Britanni fino ai loro ultimi cugini che voi chiamate Americani. Vede, il barcone dei folli è l’esito attuale della contesa e del destino. Questa è un’immagine potente, che non si toglie dalla mia mente. La vostra civiltà, di cui dirò, potrebbe finire tutta dentro questa immagine. E il mondo non ne avrebbe molto a male, certamente.
  • (F.) E il ruolo dell’Europa, questa oscura camera di tortura ove si azzerano le sovranità nazionali?
  • (P.) Europa? Sovranità nazionali? Non faccia di me un’oca! Voi non avete veri governanti, da nessuna parte. Siete governati da un’idea che vi ha messo tutti nel barcone. E là dove son tanti, in quella che voi dite Cina, non è meglio che in Grecia. Il vero governante, diceva Socrate, è chi cerca l’utile del più debole. Il ruolo dell’Europa non esiste. Nel barcone i posti con vista sul mare vengono scambiati per un piatto di lenticchie e fichi…
  • (F.) Questa è l’azione dei “mercati finanziari”, cioè dei centri principali del capitale finanziario?
  • (P.) Lasci a me un sogno: se voi forse morirete con qualche biglietto in mano, io dal mio posto oltremondano abbraccerò anche la vostra epoca e le dirò sul muso: «il guadagno non rientra nei fini specifici di nessuna arte!». Lei immagina?

 

2.

  • (F.) E l’euro, Maestro? Quanto c’entra l’euro in tutto questo?
  • (P.) Il suo assistente fuori scena mi ha spiegato che presso di voi moderni l’euro è una moneta che ha corso in diverse città e stati. Guardi: per me, che parlo in circolo, l’euro è piscio. Piscio che cola fuori dalla cloaca, e voi ve lo siete fatto stupidamente caricare sul vostro barcone. Chi è governato da un’idea meschina può anche non avvedersi del piscio che lo bagna. Anzi, ne è contento, e si lagna se gliene sottraggono un poco. I Greci di oggi sono stati portati a credere, a credere e a desiderare il piscio. Cosa comprano con quel piscio? Cianfrusaglie, per lo più, e un pane così poco buono che Socrate lo avrebbe senz’altro vietato a sé e alle bestie della casa.
  • (F.) Dunque l’euro c’entra, è il veicolo della crisi. Ma chi guida questo veicolo?
  • (P.) Non c’è nessun veicolo, e tanto meno nessun vero guidatore. Siete tutti su quel barcone, come ho detto. E toglietevi dalla testa che possa esistere qualcuno che da fuori agita le onde e dirige i venti. Se i Greci vorranno sopravvivere, dovranno farsi essi stessi i propri nocchieri. E tenerli a bada, perché con le idee non si scherza. Vedete cosa è successo facendosi sedurre da un’idea meschina?
  • (F.) Secondo lei, Maestro, il piano di risanamento & rinnovato saccheggio comporterà una pioggia di lacrime e fiumi di sangue, in Grecia e altrove?
  • (P.) Oltre a impiastricciarvi le vesti di piscio voi sorbite merda da tempo…  Paventare altre lacrime e altro sangue serve solo a non farvi vedere come siete già mortalmente combinati. Ricordatevi: il vostro “esperimento”, tutta la vostra epoca, proseguendo ad oltranza si farà esso signore su tutti voi. Finché il barcone, pieno di occhi che lo guardano da dentro credendolo reale, s’inabisserà nel silenzio dei mari. Ma lei, voi, immaginate?

 

3.

  • (F.) In apparenza, siamo tutti schiavi della creazione di denaro ex nihilo
  • (P.) Eh sì. E perché ve ne curate? Se cercaste di riappropriarvi delle cose essenziali della vita non dovreste più curarvene. Aria, acqua, terra, sole, tutte le arti e i modi di stare insieme: avete forse bisogno della mediazione del denaro per considerarli beni di tutti e agire di conseguenza? Sta qui l’ostacolo. E insieme la vostra Grande Paura di uomini moderni. Denaro creato dal nulla… Tempo fa i vostri uomini di scienza hanno elaborato una teoria: tutto sarebbe cominciato dal nulla con una Grande Esplosione o una Grande Decisione circa quella Grande Esplosione. Ma comunque è un loro mito, una narrazione non verificabile. Quel che è certo, invece, è che dal nulla pieno di denaro in cui siete istupiditi, oggi, voi avete bisogno di un Big Bang Culturale. Dimenticate la creazione di denaro e, malgrado il deserto che vi hanno fatto in mente, immaginate la rivelazione di una differente conoscenza. Immaginate, o non avrete scampo.
  • (F.) Qualcuno che immagina c’è, Maestro. Per esempio i teorici della decrescita felice…
  • (P.) Bene. Quanti sono?
  • (F.) Forse qualche decina in tutto il pianeta.
  • (P.) Degli animali che avete ingabbiato questi teorici tengono conto?
  • (F.) Pare di sì, Maestro.
  • (P.) Allora più tardi ne parleremo. Adesso è tempo di andare nell’orto a raccogliere quel poco che avrà dato…
  • (F.) E l’orto dov’è, Maestro?
  • (P.) Non è qui. Non è di questo mondo. Ecco un primo problema.

 

4.

ballo nel nulla

ieri il reality diceva

tre morti in Atene

oggi le borse rimbalzano

sull’aroma della paglia

per il salvataggio della nostra fossa

 

  • (F.) Maestro, perché questo accade?
  • (P.) Perché, come Socrate aveva visto, il fumo sale al cielo ma nessuno, dalla terra, ha occhi per vederlo. Così i Greci, come tutti gli altri, credono ai numeri terreni: numeri non loro, numeri creati per loro dal Potere. Appunto: basta fare in modo che ci credano. Nei numeri la Grecia riceve piscio da Germania e Francia, si frantuma tre vertebre portandone due otri al Portogallo, che si confonde e al posto del suo vino dà un po’ di piscio ai Siracusani, che aspettano il placet degli Anglo-Americani prima di girarlo agli abitanti della Calda Terra dei Ghiacci… E, nel giro, tutti ci credono. E il gioco si fa vero: nel fumo che non si vede anche i granchi vi guardano e ridono. Ma loro, almeno, si chiedono il perché. Voi perché no?
  • (F.) Una finzione accettata che diventa il credo implicito di tutti…
  • (P.) Certamente, questo accade. Tuttavia, l’incantesimo potrebbe non sciogliersi mai qualora nel fumo non riusciste più a distinguere i numeri dalle api che lavorano per voi. Non vi sembra ben strano privarvi in tal modo del sapere che ancora vi farebbe grandi e belli?
  • (F.) Dunque, Maestro, ci sarebbero delle api che lavorano per noi anche in Grecia?
  • (P.) Ci sono, ci sono… Non ve ne faccio i nomi adesso, perché voi comincereste a classificare, cavillare, parlare con i giornalisti, postare commenti di dieci parole e simili piccinerie. Piuttosto, ditemi voi: qualcuno s’è preso la briga di spiegare ai Greci che, se ribellarsi è giusto, entrare dentro il Parlamento, trovarvi degli spettri e perdere tempo a parlarci è alla lunga inutile e dannoso alla ribellione stessa?

 

5.

  • (F.) Dunque, Maestro, che fare?
  • (P.) Non è una domanda nuova, e qualche esperienza l’avete pur fatta. Dal Novecento, se guardate bene, potete intanto trarre alcune idee su cosa non bisogna fare. Ma per immaginare che fare dovete guardare a prima del Novecento e a dopo.
  • (F.) Maestro, perdoni la nostra impazienza. Lei sembra prendere le cose sempre alla lontana. Noi abbiamo l’urgenza di agire…
  • (P.) Voi avete l’urgenza che vi hanno dolcemente sciolta in tutto il corpo dalla mente in giù. E non vi fermate, certo. Ma che azione è la vostra? La prima vostra urgenza dovrebbe essere: prendere il tempo per capire, e provare a vivere così. Ci vuole tempo? Lo so. Lei vuole cominciare, da adesso?
  • (F.) Sì, non vedo l’ora.
  • (P.) Si rassegni: l’ora non la vedrà per molto. Occorre anzitutto perderla… Perda il conto, è la prima cosa. Le dipingo l’anima con un racconto senza inizio né fine. Le ricette del Fondo Monetario Europeo ebbero l’esito sperato dai media e dalla lobby che manda in giro la griffe di Al Gore: tre milioni di Greci tragicamente sfoltiti nei vostri “tempi rapidi”. Al che i restanti Greci si guardarono la suola delle scarpe e videro che c’era ancora un certo spessore prima di crepare. Si riunirono in mille luoghi e decisero di marciare per prendere il Potere. Erano furibondi e diedero l’assalto al Parlamento. La polizia greca prima sparò, poi si unì al suo popolo. I politici che erano rimasti dentro il Parlamento salutarono la grande vittoria del popolo greco. Ma il Potere, là dentro, non lo prese nessuno. E le cose ripresero a girare come prima.
  • (F.) Ci saranno stati dei controrivoluzionari, dei nemici del popolo che hanno tramato… magari fuori dalla Grecia.
  • (P.) Lo tenga per certo, ma questo non spiega niente. Né spiega granché lo scarso aiuto dato ai Greci dai Siracusani loro cugini. Tra questi ve ne furono molti che su barche e zattere di fortuna raggiunsero la Grecia per unirsi al popolo in rivolta. Ma una volta giunti ad Atene il massimo che pretesero ed ottennero fu di mettere sotto processo tutti i politici greci. Fra loro si distinse un tribuno, un figuro confuso e sgraziato, esule da una ex repubblica marinara. «Tutta l’energia creativa del popolo nei processi ai governanti traditori» – disse. E l’energia fluì, lasciando il popolo nuovamente in braghe di tela e pappa fritta in testa.

 

6.

  • (F.) Maestro, il suo racconto affascina. Continui, di grazia…
  • (P.) Va bene ma tenga a mente: la fascinazione non è grazia, e questo racconto non è donna per l’uomo che legge…
  • (F.) Se non capisco, col tempo capirò. La prego, Maestro…
  • (P.) Dunque i Greci ascoltarono il tribuno venuto coi Siracusani. Dopo aver preso il Parlamento partirono raffiche di processi ai vecchi politici. Condanna dopo condanna, pian piano ci si dimenticò finanche di cercarlo, il Potere. I pochi che continuarono imperterriti a cercarlo dentro il Parlamento non lo trovarono. Non furono capaci di cercare? Non lo videro? Non lo trovarono perché non era lì? O cosa? Non mi affretterò a rispondere. Vengo piuttosto alla mia ricotta, e aggiungerò il mio miele preferito: quello della macchia. Così, per non allontanarmi dal seminato le dico: diffidate delle persone che del Potere vedono solo le persone che l’incarnano. Assaggi questa ricotta: sa di fieno greco o sono io?
  • (F.) La sua ricotta è squisita, e così anche il fieno greco di cui saprebbe. Ma non è lei, Maestro, si figuri…
  • (P.) Non so proprio se lei col tempo capirà. Le ho già detto che l’orto in cui mi reco a raccogliere quel che dà non è qui, non è di questo mondo. Ora lei viene a dirmi che la mia ricotta è squisita… Guardi lassù in cima alla mensola: mi passa il mortaio, se lo vede? Non godo a pestare questa menta, ma da qualche movimento forse dovremmo cominciare. Non pensi che il Potere, in sé, sappia quel che fa. E non lo sanno nemmeno le sue persone eccellentissime, anche quando dichiarano di fare il lavoro di Dio…
  • (F.) Il suo mortaio è pesantissimo, Maestro.
  • (P.) Sarà… Ma di più mi pesa questa menta appiccicosa. Lei immagina? In vita, anche nei momenti più alti, Socrate non ha mai preteso di fare il lavoro di Dio… Pesti un po’ lei, adesso!

 

7.

  • (F.) Dunque, da un lato ci sono i dominanti che pretendono di fare il lavoro di Dio, dall’altro c’è la crisi greca…
  • (P.) Il suo è un modo di dire politically correct. Non ci sono lati: questa vostra civiltà ha sfondato da tempo il legno della cassa e in Grecia state soltanto facendo la prova generale della vostra minuta tragedia. I rivoluzionari greci non hanno trovato il Potere dentro il parlamento. Le persone che vi hanno trovato dentro servivano il Potere, ma non lo facevano esse stesse.
  • (F.) Ma questo è logico: chi fa il Potere sta nelle banche, nelle borse, nei centri del capitale finanziario. Il Potere sta in questi posti. I Greci non ci hanno pensato?
  • (P.) In apparenza è logico. E i Greci, maestri di logica e di apparenza, ad un certo punto ci hanno pensato. Poi le racconterò cosa hanno fatto, che è secondario. Più importante è il delirio che li ha portati a quel fare. Di questo delirio le parlerò. Acconsente ad immaginare?
  • (F.) Proverò con tutte le mie forze, Maestro.
  • (P.) Essi partirono da un assioma (lo pensarono da soli e poi insieme): il lavoro di Dio sta nel fare denaro dal denaro, e tutto il resto vive e muore in funzione di questo. Dissero: ci siamo presi in giro per secoli, ad Occidente e a Oriente, nella savana e nella foresta, nella steppa e fra le mangrovie. Adesso che abbiamo quest’uomo nuovo dobbiamo scordarci del passato. Questo uomo è Dio, Dio è lui. Logica a gambe all’aria. Egli ha un lavoro: Dio lavora. Egli non riposa mai. Dio non riposa mai. Un giorno di ventiquattro ore più un minuto: è Dio e fa come vuole. Questo è un uomo-Dio scientifico, pur non potendosi permettere il lusso dell’osservazione o dell’esperimento: uomo-Dio scientifico non scientifico. La coerenza logica non ha più casa: è nomade, versatile, autocontraddittoria. E può: come Dio. Quest’uomo non è conoscibile. Non a caso: se è Dio… Ed egli non conosce se stesso: non gliene cale. Sa già tutto. E non sbaglia mai. Il suo libero arbitrio ha superato quello dell’uomo della teologia, dal quale pure deriva. Quest’ultimo ammetteva ancora di sbagliare. Avendo ricevuto il libero arbitrio in dono da Dio, almeno rispondeva per il male del mondo incolpando sé ed assolvendo sé come Dio. Usava male il dono ricevuto: tutto qui. Quest’uomo nuovo no: egli è sempre salvo (e nemmeno Dio può giudicarlo). Il male del mondo viene da fuori: dai terroristi, dagli anticorpi che si ostinano, dalle moltitudini che vorrebbero conservarsi in barba a lui. Dio non può tollerare. Nel dubbio, fateli fuori tutti, egli dice. Più nessuno, nemmeno Dio, riconoscerà i suoi. Addio ai Greci. Amen.
  • (F.) Ma è terribile!
  • (P.) Sa cos’è più terribile di tutto? Che quest’uomo che fa il lavoro di Dio può far cadere nel nulla tutta la sostanza (denaro dal denaro) che dal nulla ha creato. Se i Greci ci staranno dentro, i Greci saranno nulla. Immagini, allora, chi sorriderà al fatidico trapasso…

 

8.

  • (F.) Dunque, Maestro, ci racconti come andò quando i Greci assaltarono la borsa di Atene…
  • (P.) Successe un fatto strano: qualcuno li illuse che là dentro vi fosse il Tempio del Denaro. Lo slogan era: prendiamo il Tempio, contempliamo i movimenti del Denaro, teniamo per le palle il Potere… Ma si potrebbe essere più stupidi?
  • Per cominciare: la Borsa di Atene era un luogo squallido, tra mozziconi di sigaretta, bicchieri mezzi pieni abbandonati e computatori urlanti sempre accesi. Giorno e notte non esistevano. I famosi movimenti del Denaro si intuivano vagamente dalle stringhe verdi che passavano sugli schermi. Nulla da contemplare, sia chiaro. E poi Atene sembrava essere soltanto un fugace scalo, un misero porto in cui le navi vuotavano le latrine, un parcheggio comodo per pacchetti certamente destinati altrove. I movimenti del Denaro, quelli veri, portavano sui terminali altri nomi, esotici e no: isole Cayman, San Marino, New York, Dubai, Londra, Città del Vaticano, ecc.
  • Al che i Greci furono presi dalla depressione. Alcuni di essi costituirono delle squadre di studio e, sequestrati una ventina di grandi operatori di borsa, li sottoposero ad interrogatori-fiume. Non si sa mai – dicevano – che a prenderli fino allo sfinimento qualcuno finisca per spifferare qualche segreto più arcano sul Potere. Sempre alla ricerca di una leva, di una chiave, di uno strumento per… Ma l’uomo che cerca lo strumento per è lui stesso già strumento
  • (F.) Vorremmo sapere tutto di questi interogatori…
  • (P.) Mi versi prima un po’ miele su quella scodella di ricotta. Tutto questo odore di Denaro inafferrabile mi disgusta. E si ricordi di una cosa: il delirio di chi pretende di fare il lavoro di Dio non dà mai nemmeno quel mezzo sollievo mentale che infonde una tragedia… Non so se lei, nella sua insaziabile curiosità, può intendere questo: quando si profetizza il Nulla, prima o poi il Nulla si trova, e allora sono dolori perché anche i suoi artefici in carne ed ossa provano un sentimento di ripulsa semplicemente umano… Tutti gli operatori della borsa di Atene confessarono i loro misfatti, le loro truffe e i nomi dei committenti. Ma interrogati sul senso del lavoro di Dio iniziarono a balbettare e sudare. Sudare e balbettare…
  • (F.) Cosa li turbava, Maestro?
  • (P.) L’avvertimento del Nulla, l’impossibilità di raccontare, la loro deriva sul barcone dei folli. Mi dia quel taccuino: voglio fare una poesia.

 

9.

  • (F.) Maestro, aveva parlato di una poesia… Poesia in che senso?
  • (P.) Vede quel foglietto a mo’ di segnalibro nel manuale di ricette a base di ricotta e fichi?
  • (F.) Sì, lo vedo. È minuscolo ed è un miracolo di politico ricamo.
  • (P.) Appunto. Ed è anche sporco: è servito a pulirmi la barba. Spero si possa ancora leggere quanto vi ho scritto. Altrimenti, dovrò scrivere una cosa nuova: la poesia, se poesia è, una volta scritta la dimentico presto. Dia qui, vediamo se si vede ancora qualcosa… [stira il foglietto fra le mani e fa cadere croste di ricotta e polpa di fico secco] Allora, il titolo è:

 

L’undici settembre raccontato ai bambini

 

il mirtillo schiacciato annebbia la vista

nessun turbocapitalismo luccica bollito

non serve l’esercito degli attivisti

comunicatori disciplinati e compatti

se lo si scaglia solo contro le persone del Potere

senza il Potere come principio e meccanismo spiegare

ai bambini va fatta sentire l’essenza

l’undici settembre senza la presenza

perché l’immaginazione possa sgusciare

non serve la fine dei manovratori del mondo

se il mondo s’immagina sempre uguale

altri manovratori abbiamo alle porte

l’undici settembre con la sua presenza

il fumo il pianto le polveri sottilissime

gli esplosivi nebulizzati dentro le nostre teste

i manovratori del mondo non sono il Potere

bensì transponder che si possono spegnere

a volare bassi neanche il radar vede l’aereo

che riemerge non identificabile

target o Potere innominato

che si incarna nei manovratori dominanti

servi giostranti del suo principio determinante

nulla in polvere

accumulato nella nostra mente

 

10.

  • (F.) Dopo il fiasco alla borsa di Atene cosa fecero gli insorti greci, Maestro?
  • (P.) Pensarono una mossa ancor più ardita e spregiudicata. Alcuni notarono che del lavoro di Dio gli uomini non avevano mai compreso l’essenza… Il Potere non era nella borse, non era depositato nelle banche, non se ne vedeva l’ombra nei consigli d’amministrazione. Eppure il suo peso era indiscutibilmente “tangibile” visto che le “cose” e i “comportamenti” non erano mutati nemmeno dopo la vittoria dell’insurrezione: il Potere, fantasma inafferrabile, aveva anzi trovato il modo di cavalcare la tigre dell’insurrezione e si era rifatto un’altra giovinezza… Guadagnò consenso l’opinione di quanti, ormai privi di fiducia negli uomini e quindi anche in se stessi, sostenevano che era meglio smettere di interpellare gli uomini sull’argomento… Meglio invocare la parola degli dei – dissero. Saranno loro a rivelarci l’arcano del lavoro di Dio e a indicarci dove scovare e prendere il Potere: allora sì che cambieremo la società e la storia – azzardarono i più temerari…
  • (F.) Non capisco: ma cosa c’entrano gli dei a questo punto?
  • (P.) Gli dei c’entrano sempre: come c’entra, ovviamente, l’unico Dio delle tre famiglie monoteiste. Anzi, le dirò di più: tutti costoro, già che c’erano, sono stati testimoni per nulla disinteressati della formazione del principio di Potere che i Greci credono di poter prendere in mano. Che vuole, in verità anch’io in vita ho preso dei granchi in argomento… Si figuri: per dire che è anche in noi ho persino spedito la verità in un altro mondo… E da qui ho generato una qualità di casini che ancora ci perseguita e che da allora mi dà il mal di testa. Quindi, dal mio piccolo pulpito non biasimo i Greci che hanno deciso di rimettersi al giudizio degli dei…
  • (F.) Sì, ma non mi dica che hanno messo in atto “comportamenti conseguenti”…
  • (P.) Lei conferma il suo difetto d’immaginazione. Gli insorti vittoriosi andarono in massa sull’Acropoli e presero ad invocare gli dei: «O dei, diteci dove sta questo Potere, spiegateci come prenderlo e maneggiarlo… svelateci l’essenza del lavoro di Dio… Noi siamo il popolo sovrano, la fonte degli ingegni, la culla dei figli che hanno detronizzato le dodici famiglie globali del denaro… Che la vostra parola cada su di noi, o dei…». E stettero su questo ritornello per giorni e giorni. Sull’Acropoli vento e funghi: poesie senza fatica. Ma di parole dagli dei non ne vennero. Il nulla che affoga. L’affronto del silenzio.
  • (F.) Così per i Greci è giunta l’ora di tornare a casa. Ma la loro casa era il silenzio…
  • (P.) Infatti. A quel punto non aveva più senso tornare a casa. Allora sull’Acropoli cominciò fra i Greci una discussione.