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Recensione apocrifa a Il pensiero ermafrodita della scienza

 

Lettera di accompagnamento alla recensione apocrifa

 

Rosario, 25 giugno 2010

 

 

Cari Franco, Roberto ed Emanuele,

 

Perdonerete il mio spagnolo sporadico infarcito di italianismi arcaici per l’occasione, ma è così che sono abituato a scrivere da quando, per insulsa boutade accademica, mi hanno trasformato  in “professore emerito”. Chissà perché torna fuori adesso la lingua dei miei nonni originari del viterbese. Chissà perché, a settantotto anni strafatti, completamente fuori dalla rete internazionale, mi suona sì dolcemente quel mischiare allo spagnolo e all’italiano “colti” le loro folgoranti imprecazioni, i loro detti, le loro pillole d’intramontabile sapienza cosmica.

Mi consola la circostanza che vi divertirete assai nel provare a tradurre le rare parole spagnole inserite in un contesto linguistico così bizzarro. Se alcune non troverete opportuno tradurre, per me sarà un’occasione per vedere come questo contesto e la mia trama argomentativa avranno fatto oscillare le vostre fredde correnti cognitive. So di essere fra ingegni tanto umili quanto non comuni.

Permettetemi di fare una breve premessa sul tipo di scritto che state per esaminare.

Io scrivo (e penso) solo (per) apocrifi. Leggendo vi renderete conto dei tanti perché. Non chiedetevi se è letteratura, scienza narrata, filosofia o altro di noto secondo gli schemi della corrente principale dei pensieri preformati: sarebbe solo tempo sottratto a migliori ragionamenti. Apocrifa è stata tutta la mia vita immaginativa più profonda. Apocrifi sono stati tutti i miei scritti accademici e non (salvo quando, per ragioni di pura sopravvivenza, sono stato costretto a star zitto e a copiare da altri). Apocrifa è, quindi, anche questa recensione. Voi, del resto, non siete da meno in fatto di apocrifi: l’ho riscontrato recentemente leggendo le belle pagine del vostro sito stampate per me da un caro amico, Nicolò Verdad Del Supuesto, da noi soprannominato a suo tempo “El carro con el sueño”, in gioventù mio grande avversario, oggi semplicemente fu filosofo

Apocrifo. Che meraviglioso aggettivo! Ha retto all’usura delle epoche ed eccolo ancora lì, incurvato da tutto il suo tesoro semantico e dalle sue insidiosissime trappole, a connotare tanto questo scritto quanto – grazie all’opera di inestimabile valore di Franco Soldani – il pensiero dell’intera scienza occidentale. E pensare che il Potere, sin dall’apparizione dei primi apocrifi resoconti-vangelo, ha sempre usato apocrifo per indicare le voci e gli scritti non consonanti, in modo da poterli interdire, bollare, zittire, eliminare dalla scena e comunque seppellire nel discredito.

Tuttavia oggi possiamo dirlo: c’è apocrifo e apocrifo, e il Potere da gran tempo lo sa meglio di noi, visto che di apocrifi suoi ha costellato il mondo fabbricando un intero e stratificato universo cognitivo nel tentativo, finora tragicamente riuscito, di formarci ed ingabbiarci per sempre.

A-oh, fermete: ma-cché stai a-ddì?

Ammazza, oh! Dura ‘a capoccia…

Allora, entro subito nel cavillo e nell’arzigogolo perché non voglio equivoci e perché si tratta di un punto affatto dirimente.

Apocrifa chiamo questa recensione in quanto allegorica, immaginativa e al tempo stesso lontana da (apó in greco) ogni pensiero altrimenti apocrifo. Quello, per essere precisi,  contaminato in qualsiasi modo e misura dal Potere, che ne ha fatto un orto globale per orchi iniziati, orto occulto e segreto (kryphos appunto): quello che, come accade nella scienza occidentale degna erede e continuatrice della teologia, cresce solo su se stesso fregandosene di tutto il resto: il pensiero apocrifo sommamente irresponsabile, nichilista e portatore insano di catastrofe.

Ora, che l’altrimenti apocrifo pensiero della scienza sia – come ci dice Franco Soldani nelle sue pagine appassionanti e serrate – anche e necessariamente ermafrodita, è questione che si chiarirà pian piano da sola, specie quando, chiosando alcuni passi dell’autore, ne indagherò le parentele teologiche meglio riposte.

Teniamoci dunque stretti i nostri apocrifi, curiamoli e facciamoli diventare grandi e il più possibile belli. Nello stesso tempo scopriamo quanti più altarini possibile negli apocrifi partoriti sotto disegno tutto occidentale dalla teologia prima e dalla teo-scienza poi allo scopo di forgiare la maschera a infiniti strati del Potere contemporaneo.

Questa è, oggi come ieri devo dire, l’unica mossa concettuale ed effettuale che ci può mettere in grado di calpestare la strada mai presa della consapevolezza e, quindi, della speranza fondata, l’unica strada in fondo alla quale può stare il fatto storico in grado di scongiurare la presente catastrofe: il rigetto di, l’addio a, la decostruzione e la revoca di, la fuoriuscita da, mente soggetto e mondo contemporanei.

Le altre mosse, miei cari interlocutori, siano esse opposizioni fittizie, pelose fuori e/o dentro, antagonistico-pittoresche o antagonistico-disperate, autolesioniste, narcisiste, autoconsolatorie, piagnone e/o autoassolutorie, comunque sia mentalmente subalterne all’universo apocrifo del Potere e al suo pensiero, lasciatele tutte agli altri, ve ne prego, ai trasformisti intellettuali di ogni mazzo, ai politicanti giornalisti e ‘gnorantoni sotto qualsiasi travestimento rifatti, ai guitti e ai reclusi della rete autoclonatisi – magari a seguito di un isolato articolo fortunato -“paladini di qualcosa” che poco o punto conoscono… Credo non serva continuare: probabilmente di personaggi di questo genere ne avrete conosciuti tanti quanti ne ho incontrati io e magari, là in quella landa dall’alto disastrata che fu dei miei avi, anche più di me.

Seguite dunque il vostro corso, amici, e scacciate da voi e da chi sta insieme a voi quegli “stimati critici criticissimi” vuoti di pensiero e senza speranza che sulla scena sono fitti come mosche e che come mosche contano e/o lavorano per il Potere: mosche infestanti ed avvelenatrici per la moltitudine planetaria, veicolo di catastrofe in mezzo a quanti vorrebbero diversamente vivere, mosche sempre più numerose sebbene talvolta schiacciate dalle palette agite ossessivamente dal Potere per far inorridire tutti quanti, terrorizzare ulteriormente e costringere in ogni modo a non pensare fuori dal suo recinto cognitivo. Va detto: c’è in giro per il pianeta un novello esercito di chierici propriamente di merda (e dalla merda generati), precari nella mente prima che nei loro “privati affarini”. Rifuggitene sempre: non servono a noi, non sono fonte di alcunché di sensato per nessuno (nemmeno quando pontificano dalla rete) al di fuori del loro essere ceppi virali della catastrofe in corso. Vero è che qualche volta si sanno destreggiare e ben si confondono in antri semi-protetti della rete, ma con un po’ del vostro  acume troverete senz’altro il modo di riconoscerli e di indicarli per quel che sono e che fanno.

E cercate, soprattutto, di far arrivare in tutti i modi tutte queste piccole grandi cose ai tantissimi scontenti, delusi e disillusi  d’inizio millennio, che sono più o meno responsabilmente senza schieramento e senza bandiera. Perché recuperino, anzitutto, quel fondamentale livello di autostima che il Potere in infiniti modi toglie e deve togliere loro tutti i giorni. E perché in tal modo raccolgano, fra i primi fiori di un pensiero che nasce, quella indispensabile fiducia nella possibilità di partecipare in prima persona a qualcosa che fa cambiare se stessi e la vita di tutti. Può essere l’inizio di un’età più adulta, di una consapevolezza vera vissuta in comune: ciò che, in cima a tutto, teme attualmente il Potere, nelle sue articolazioni planetarie e nei suoi agenti riuniti sotto un unico programma propriamente nichilista, ormai necessariamente criminale e ammazza-immaginazione: “durare per durare nella Catastrofe, succeda quel che succeda”.

Se il millennio della Catastrofe nel mondo inventato dal capitale è appena cominciato, la consapevolezza di tutto questo stenta ancora a venire fuori.

Ci vuole pazienza, lo sapete quanto me. Tuttavia, la speranza fuori dall’inganno della speranza sparso dai dominanti è oggi più forte che nel passato: ha dalla sua, grazie anche ai libri di Franco Soldani, alcune chiavi di lettura del Potere che prima non esistevano e che sono in grado di meglio conoscerlo e diversamente spiegarlo. E il Potere attuale sembra a molti così forte e fuori dal questionabile non perché sia intrinsecamente tale ma perché non pare ancora possibile aprire strade per mandarlo in crisi e deleggitimarlo finché queste chiavi di lettura restano confinate nelle discussioni fra pochissimi.

Non doletevi per questo. Il nostro compito parte da qui ed è sin d’ora chiaramente definito.

Vi saluto e vi lascio con un Apologo sui Catastrofisti e sulla Catastrofe dal quale emergeranno – spero – i rispettivi connotati dei soggetti e dell’oggetto e, via cesura mentale e distinzione, anche un po’ le mie posizioni e immaginazioni che nulla di catastrofico ritengono (nemmeno in chat).

 

Juan Alberto

 

 

 

 

Apologo sui Catastrofisti e sulla Catastrofe

 

 

 

Chi è Catastrofista paventa la Catastrofe

la paventa per chi?

non per sé bensì per noi tutti

noi che in anticipo sappiamo di poter godere di tutto il suo sostegno,

della sua provvidenziale solidarietà umana

il C. dice: non c’è più molto tempo per agire

fra un’ora fate i vostri conti ultimi e affidatevi a me e ai miei sodali

perché la C. arriverà prima che noi si possa…

 

Epperò domani lo sentirete dire che sì, in effetti la C. deve ancora arrivare ma il tempo è decisamente prossimo, anzi, forse non ce n’è già più, la C. è dietro la porta della nostra casa…

e ancora fra un anno vi ripeterà, se l’ascolterete,

forse forse la C. non c’è ancora ma deve assolutamente (av)venire come il sole all’orizzonte: preparatevi dunque al peggio: siamo davvero alla fine della corsa

il C. lamenta l’avvento della C.: questo è il suo mantra

nella C. si nasconde la sua speranza, che lo consola

ogni C. produce la sua speranza

ora e sempre la sua C. deve venire

tuttavia non è proprio quella di Cassandra

che almeno era conseguente se non bella e sapiente

la sua deve sempre venire e mai verrà perché non si deve vedere che c’è già

il C. (fa lo stesso se presunto di sinistra di destra o scialacqua qua qua) una funzione sua purtroppo ce l’ha

blocca prima del o sul nascere qualsiasi consapevolezza

depista quanti prendono a diffidare del Potere e a mettere in causa la loro subalternità ai suoi mille discorsi

riaccompagna i processi sociali nell’alveo del Potere

a volte è pure furbo intelligente e crede ciecamente nel lavoro che fa

 

La C. del C. ora e sempre arriverà perché qualcuno da dentro il Potere ha stabilito che essa deve venire (anche se il C. individuo può sembrarne fuori o né dentro né fuori)

il dogma stabilito è: ontologico dover essere della C. senza essere (possibilmente nei secoli dei secoli)

il che effettualmente vuol dire: essere della C. nell’eterno presente immoto, nel fumo variopinto ondivago onnipervasivo

mediante essa, intanto, il Potere ammazza il presente, lo rende insensato, buono solo per far chiacchiere radical su quali provviste accumulare in cantina e sulle strategie antagoniste di sotto-vivenza pre o post mortem

un presente svuotato dei suoi connotati e riempito di orticelli mentali conclusi e orticelli di buona verdura puramente sognata e inaccessibile ai più, come accade nelle ineffabili coriandolate e stelle filanti elitarie dei crescisti col “de” davanti

persone onestissime, certo, col sorriso stampato e il placido sì alla buona verdura dell’orto ma senza una parola sui modi di produrla e sulla forma di conoscenza che ce la rende così desiderabile

sì all’orto condominiale ma guai a mettere in causa la forma città con il suo abitare light  che nega i legami (perché i legami impegnano più dell’orto…)

ecco perché la C. del vero C. deprime e droga a dismisura chiunque vi si rapporti magari con cuore aperto e mente non completamente avvertita delle insidie che corre

 

Quando il C. ricorre all’argomento nucleare, militare, geo-politico, chimico, climatico, batteriologico o virale state sempre e comunque sul chi va là: non si sa mai che come rimedio vada cianciando di improbabili Comunità magari macro e potenti che invertano soltanto i rapporti di potere a loro favore sottraendo lo scettro del crimine all’attuale Impero guerrafondato, preparandosi a sostituire con i loro adepti i funzionari imperiali sotto la cappa del medesimo Potere che si continua a non conoscere, che spesso nemmeno si sa vedere e dunque mai si tocca. Questi C. saranno anche deliranti sognatori talvolta, tuttavia restano subalterni e coatti, un sacco frustrati e sovente cani bastonati, sempre e comunque pericolosi perché fuor di chiacchiera disposti a subentrare (anche come criminali d’alto ufficio) nel servizio al Potere… Occhio, pelo e contropelo (meglio se col raschietto) a questi apparenti rivoluzionari rinovellati in salsa XXI secolo…

 

Il C. dice di aver trovato qualcosa da difendere e da salvare dalla C. oggi, ma non spiega mai per bene né cosaperché e le persone di buona volontà pensano talvolta che non lo sappia nemmeno lui…

ed è proprio così: sempre più spesso lui non lo sa e/o non lo vuol sapere… Il C. è sempre, per principio, uno il cui scopo primo ed ultimo è lo stare a galla, un politicante coatto o d’accatto in cui si concentra un tragico revival del principio di sopravvivenza del meno adatto mediante la ripetizione dell’identico

il suo programma o è ricetta sbatti-ingredienti di certe emissioni televisive, o è nebulosa appiccicosa, o è arrivismo da ricottaro traffichino o da piccolissimo para(lenin)culo, o anche qualcosa di peggiore, provate a immaginare… Ammazza ‘a miseria nera de li bordelli sua…

intanto magari costui vi chiede i vostri pochi soldi (donate, donate!) e ributta indietro qualsivoglia vostro anelito di partecipazione diretta a qualcosa che cambierebbe da subito la vita

la caratura dei C. sta scemando verso i bassifondi dell’umano cesso…

magari qualcuno comincerà ad accorgersene e verrà più spesso a tirare ‘a catenella

 

Il C. colto e trendy parla della C. come: destino ineludibile, orizzonte finale insuperabile della tecnica, patologia psichica del soggetto contemporaneo, crisi della crisi dei valori e della sua critica, liquidità purulenta e stagnante del legame sociale, revocabilità di qualsiasi responsabilità e impegno, afasia, insicurezza e panico davanti al dialogo, agli “altri”, fuga illusoriamente compensatoria verso gli animali e “la Natura”, ricerca di un qualsiasi inferno virtuale pur di sfuggire un attimo a quello quotidiano, ecc.

Per lui questi sarebbero i sintomi, le spie della C.

non dirà mai che questa è, fra l’altro, la C. mentre va in onda e che domani sarà magari questa con una nocciolina in più e una patata nella scarpa…

 

C’è poi il C. ecologista organizzato… Che dire di costui? Spesso è il più tristo di tutti, pòro cane, perché sembra avere effettivamente qualcosa di importante da salvare dalla C. che verrà. A prima vista sembrano tutte cose grandi: l’ambiente, l’ecosistema, la temperatura degli oceani, i ghiacciai, le balene, ecc. Poi però t’accorgi che fuori scena è anzitutto interessato a salvare tutte queste cose grandi da una più grande ancora: dalla cosiddetta “sovrappopolazione” umana! Qualche singolo C. ecologista meno organizzato potrà certo essere meglio orientato e non così  primitivo, ma il pensiero ecologista e le sue potenti lobbies globali sono ancora orgogliosamente ancorati a Malthus, all’eugenetica, ai programmi di sfoltimento dei miliardi cari a certi circoli del capitale finanziario. Stamo freschi… anche sotto la cappa del presunto riscaldamento globale

 

Così, il vero C. comunque declinato e mascherato, vede la C. come qualcosa da: scongiurare col voto ar dio de ‘sta monnezza; cavalcare a piedi nudi; velare “all’orientale”; foraggiare con  manna e noci; imbonire con i libri; servire calda al popolo; condannare senza esame e processo; pilotare a distanza come un drone contro i simboli della civiltà; democratizzare sotto le coperte; comunicare senza peli sulla lingua e sullo stomaco; valorizzare opportunamente; coccolare nelle pause; spalmare su più fronti; moralizzare ma dopo lo shampoo; approvare con grandiose manifestazioni di soddisfazione popolare più o meno com’è successo con il trattato di Lisbona; giustificare con la natura malvagia dell’essere umano a torto sfrattato dal paradiso; fiancheggiare con un lavoro di lobby senza risparmio di fondi neri; modernizzare e convertire al digitale cosmico; ricomprendere nei diritti delle minoranze (segue elenco illeggibile); incorporare nelle tecniche di “governance”; organizzare come un mega attentato sotto falsa bandiera stile 11 settembre da attribuire agli ufo di Hollywood; derubricare dal portafoglio come fossero bond argentini garantiti dalle spalle forti di lavoratori e pensionati dei “paesi a rischio di bancarotta”

 

Da ultimo, mai sceso dal suo pulpito rosa, sta il C. perfetto, e catechizza le genti. Laconico, tagliente, maledetto, filosofo, teologo o guru. Preparatissimo, ha già scritto e detto tutto sull’argomento, conosce in anticipo anche l’epoca che seguirà la C. e non è mai cittadino di niente e di nessun mondo. Dice sfrontatamente che la C. è prodotta dal “potere” (p minuscola), ma per lui questo “potere” è, tutt’al più, un’associazione a delinquere, una qualche setta o chiesa, un conclave perenne di cospiratori, una macchina formidabile, un “mostruoso” Leviatano, un orizzonte (tecnico, divino, demoniaco, massonico, ecc.) comunque non superabile da qualsivoglia strategia mondana le persone possano attuare…

Allora, disarmo disincanto e deriva, predica il C. perfetto: si può finalmente procedere in ogni e nessuna direzione… Mente corpo e anima fluttuano attendendo la prossima notte della C.

 

Principio e fine inderogabili, per ogni Catastrofista, è non dire mai e silenziare sempre che esiste in questa società un principio molto mondano che ne determina senza farsi vedere le mirabolanti strutture (anche di Potere), forme e sfumature, appunto fino alla cosiddetta Catastrofe, della quale esso è motore e regista. Un principio che forma così bene la mente dei soggetti contemporanei che essi sono capaci di servirlo mediante atti subalterni di “libera volontà” fondati sull’incomprensione del proprio posto nel mondo. Non si dovrà dire mai che questo principio determinante è il capitale, matrice unica di ciò che forma il Potere contemporaneo, e che la conoscenza detta “scientifica” è il suo pensiero per eccellenza, la forma di razionalità che meglio corrisponde ai suoi meccanismi interni di funzionamento.

Non lo si dovrà dire mai e poi mai, perché se le persone capissero le cose a questo livello e, con una certa consapevolezza, quasi in silenzio, si mettessero insieme a non credere più alla favola della Catastrofe, a non seguire più i tempi del motore e a non ascoltare più il regista, per la stessa Catastrofe e per tutti i Catastrofisti sarebbero guai sommi, sofferenze inenarrabili, crisi di identità, senso di impotenza (mai visto prima) del Potere, patologie gravi, psicosi incontrollabili, perdita di… scienza e conoscenza, e forse, chissà, persino collasso e morte…

 

Non dire mai queste cose, soffiare via ogni granello di consapevolezza che il vento possa portare presso le persone, continuare a far credere, a far credere e a far credere, per l’eternità: questo è allora il grande e terribile gioco della Catastrofe e dei Catastrofisti tutti, suoi agenti consapevoli e no.

Governare la Catastrofe vuol dire non smettere mai di depistare le persone dalla Catastrofe che c’è e di far credere alla bontà del depistaggio stesso scodellando sul piatto la Catastrofe che verrà.

Non essere catastrofisti, oggi, significa anzitutto non credere alla Catastrofe dei Catastrofisti, riconoscere la Catastrofe che c’è e le sue origini, seminare consapevolezza dicendo appunto quello che il Potere non può sopportare che di esso si dica, del suo principio determinante, del suo pensiero scientifico e della Catastrofe che appunto tutti insieme hanno prodotto.

A questo livello, seminare consapevolezza è già sgranare la terra della speranza fuori dall’inganno della speranza.

 

 

 

 

Recensione apocrifa a Il pensiero ermafrodita della scienza (1)

 

Sono stati gli alberi a sottrarsi alle scimmie che poi diventarono uomini.

Gli alberi decisero di cominciare a camminare sulla terra e a navigare galleggiando fra le onde.

Le scimmie cosa fecero? Stettero lì impotenti, abbrutite e, per invidia, cominciarono a tramare contro gli alberi camminanti e tutto il mondo. Perché? Qualcosa o qualcuno avrebbe impedito alle scimmie di scendere dagli alberi e di mettersi a camminare prima di loro? No. Qualcosa o qualcuno avrebbe impedito loro di farlo dopo che gli alberi ebbero deciso di muoversi? No.

E allora? Mistero… E ancora oggi è un Mistero. Mistero o Verità? Mistero è Verità?

Si sa solo che avvenne questo. Ad un certo punto del dibattito fra alberi e scimmie, mentre le scimmie continuavano a speculare, gli alberi partirono.

Lì per lì nessuno ci fece caso. Ma dopo un po’ alcuni alberi videro che le scimmie, a forza di speculare e ragionare sul nulla, dal nulla stavano facendo nascere un loro piccolo mondo, una loro conoscenza, un loro sistema di vita e un insieme di relazioni: il tutto contenuto in un messaggino in una bottiglia che non abbandonavano mai alle onde dell’oceano.

Ad un certo punto, con un salto, le scimmie cominciarono a pretendere di vedere tutto il mondo e di ordinarlo secondo il loro messaggino in bottiglia. Ma per far questo avrebbero dovuto sconvolgere la vita degli alberi che andavano esprimendosi nel mondo, sottometterli al diktat del messaggino, fare in modo che essi pensassero come il messaggino, ecc.

Per far passare un simile inganno agli alberi le scimmie inventarono nomi assai attraenti: Regola, Ordine delle Cose, Religione e, infine, Scienza.

Il libro di Franco Soldani si occupa della parte centrale dell’inganno: il cordone ombelicale che unisce dall’inizio il messaggino e la Scienza.

Intanto, gli alberi volevano continuare a vivere secondo la loro opera d’arte: camminando, parlando, riposando, lasciandosi andare alle onde. Loro si esprimevano così.

Ma alcune scimmie dissero loro: «È vero: andate in giro per il mondo e di cose ne vedete. Ma sotto sotto siete ignoranti e senza ordine. Dovete fermarvi. Vi aiuteremo noi».

E fu così che le scimmie mandarono gli alberi a Scuola. Con la violenza senza se e senza ma: orde di scimmie indiavolate inseguivano gli alberi camminanti e, sotto la minaccia del fuoco, li facevano entrare in recinti circondati da alte mura. Poi, ogni albero che nasceva, appena cominciava ad essere in grado di camminare sulle proprie radici, veniva spedito a Scuola. Rinchiuso in enormi capannoni insieme ad altri suoi simili. Tutti fermi ad ascoltare per intere giornate le descrizioni del mondo costruite dalle scimmie. Finché cominciarono a pensare come scimmie.

E non avendo più il tempo per girare e per vedere altro moltissimi fra loro si convinsero che l’unico sapere possibile fosse quello delle scimmie. Tanto forte divenne questa convinzione che i pochi alberi che non vi si uniformarono furono spediti in esilio e ripiantati a forza – le radici legate da pesanti cavi in acciaio – in una landa desolata chiamata La notte dell’armonia.

Franco Soldani ci racconta cosa si insegna agli alberi nella Scuola delle scimmie.

In primis, ovviamente, i dieci dogmi:

 

I

la nostra Scienza conosce la realtà e ci racconta come è fatto il mondo;

 

II.

essa è un sapere al di sopra di tutto, indifferente ai valori e alle passioni;

 

III

è in grado di crescere da sola su se stessa fregandosene di tutto il resto;

 

IV

è sempre la migliore spiegazione possibile del mondo materiale esterno ed indipendente da  qualsiasi osservatore;

 

V

è un apparato formale e matematico per interpretare la natura, che è allo steso tempo capace, tramite la tecnologia, di controllare il mondo facendo tutto funzionare;

 

VI

è uno studio induttivo dei fenomeni aperto alla libera discussione e al confronto delle diverse ipotesi interpretative;

 

VII

è un discorso che si regola e si corregge da solo attraverso esperimenti che esso stesso decide di fare;

 

VIII

è un bene assoluto per il mondo delle scimmie e degli alberi, il loro patrimonio culturale fondante;

 

IX

è un processo di conoscenza senza fine in cui piano piano ci si avvicina sempre meglio all’infinita complessità del mondo naturale;

 

X

il suo successo è garantito dal suo carattere democratico, cioè dalla possibilità di scegliere i problemi da risolvere e di navigare fra diverse spiegazioni alternative delle cose.

 

Già da questi dieci dogmi si scopre il carattere mitico della Scienza delle scimmie. Tuttavia, qui il mito genera una fortezza di affermazioni inespugnabile da fuori. Tutti gli alberi che ci hanno provato sono stati annientati. Mai prendere per buona e veritiera l’immagine che le scimmie dedicate danno della Scienza. Mai fermarsi a studiare come indebolire la facciata esterna della fortezza e i suoi blocchi di granito. Tempo perso alla vita. Come ci mostra l’esempio di generazioni di scimmie filosofe e uno stuolo di scimmioni capi-branco infuriati o disincantati al rimirare l’orizzonte (supposto intrascendibile) della Tecnica.

Come ci mostra Franco Soldani, nella fortezza della Scienza bisogna entrare, camuffandosi o in incognito se necessario, via terra o via mare, con i raggi del sole o sciolti nel vento. Lo compresero alcuni alberi che erano riusciti ad evadere fortunosamente da La notte dell’Armonia. Un bel mattino di pioggia tagliente, odor di muschio come nella brughiera bretone, si presentarono alle porte della fortezza.

– Chi siete?

– Alberi che pensano come scimmie.

– Che volete?

– Fare la vostra conoscenza dall’interno.

– Ripetete la nostra parola d’ordine, o mai entrerete:

 

accumuliamo il nulla togliendo la vita di tutti.

 

E gli alberi là fuori cominciarono uno strano movimento di fronde, finché fra il vento e la tempesta che ne seguì uno di essi urlò verso la fortezza:

 

nel gioco cerchiamo le belle forme.

 

Chissà cosa intesero da dentro la fortezza… C’erano squadre di scimmie interpreti. Qualcuno dall’interno disse che le scimmie altro non erano che la realizzazione di un programma codificato e controllato da un complesso di geni.

E alle scimmie interpreti scappò di dire qualche enormità rivelatrice. Del tipo seguente.

 

Perché? È così perché è così. Anche se non spieghiamo nulla e il mondo diventa assurdo.

Il fondamento è un’icona della mente.

La realtà sembra poggiare su solide palafitte che affondano nel nulla.

È corretto perché funziona: in tal modo la teoria viene infallibilmente verificata.

 

«So’ de’ nostri, so’ de’ nostri » – si sentì dire da dentro la scienza (peones cammellati per l’applauso).

«Nun c’è da fidasse, dotto’. Famo ‘n’antra prova» (peones col muso a elle).

«No – disse l’eminente luminare. Mica possiamo permetterci il lusso dell’osservazione e dell’esperimento! La nostra scelta sarà giudicata sulla base della coerenza logica interna. Avete udito o no la ripetizione della parola d’ordine da parte di questi visitatori?».

«Sì, ehm… Ma il suono non era poi così chiaro…» (peones fanatici della sensazione).

«Insomma – tagliò corto il luminare – ciò che hanno urlato era coerente o no con il discorso della Scienza?».

«Beh, dotto’, nun so se se pò dì… De scientifico nun c’era ‘na cicca. La logica dell’urlo era un po’ – come spiegarle – mobile, ballerina, versatile…».

«Perfetto – sentenziò il luminare – fateli entrare subito. E apponete senza indugio il segreto di Scienza su ciò che avete appena udito uscire dalla mia bocca».

 

Fu così che gli alberi scampati a La notte dell’Armonia riuscirono ad entrare nella fortezza della Scienza. Cosa vedranno là dentro? E se mai ne usciranno, ne usciranno vivi?

 

 

(continua)

 

 

 

 

 

 

Vidi da giovane il volto del Potere ed esclamai: “Non so spiegarmi quella sua aria”. Un attimo dopo la nebbia lo avvolse, e per un po’ mi accorsi di aver dismesso il mio modo di ragionare.

 

* Alinbarca Saltacorna, I promessi fatti concreti

 

[…]

Piccoli esempi del mio modo di ragionare. E salta!

C’erano antichi incastri nel sole, dopo: dopo quella notte. Uno, due, tre lampi sul suo dorso scosceso: e non fu più una “montagna”…

Prima metamorfosi: un senso non sta “a cavallo” di qualcosa. Da solo scaccia tutto quanto intorno latra e fa spirale di sé sotto il tetto.

La casa senza fondamenta non ha un concetto per le parole che furono parole indotte (specialmente per queste: negoziazione e transazione).

Girai la testa e vidi lo “stato degli antichi nomi”: era pessimo perché quasi tutti avevano deciso di non curarsene più.

Non v’erano segni di sacrificio intorno, tuttavia. Ed era la prima volta nella storia, dalla discesa dagli alberi… […]

 

[…]

Le specie vegetali tutte (le cipolle specialmente) vennero meticolosamente rinselvatichite: cibo con miglior sostanza allora diventarono, e certe per ognuno. L’abbondanza era stata sconfitta insieme alla penuria prima costruita in provetta. Calorie dai mille colori sotto il tetto che guarda e ride.
Tecno e qualcosa: i raggi solari non saranno più spianati e convogliati in tubi di accelerazione forzata. Il loro calore rallenterà tutti noi.

Ci coltiviamo le porte e le finestre senza disegno su carta. Per noi, sempre per noi, semplicemente, gli alberi “non ci sono”. Per questo restiamo nella situazione di grazia in grazia, nel dono che sempre sa come bastare. […]

 

[…]

Oh, tegole fittizie tutte da eliminare: accademia e, ancora, le sue feste. Mettiamo in conto la creazione di altri lucernai di festa e l’ora si perderà (perché più non serve).

Rimettiamo nella terra il cuore che tutto vuole fare come fosse in un pellegrinaggio normale di scoperta che più non può far male. […]

 

Per mare, le moltitudini: nel condominio del vivente tutti gli abitatori temporanei del pianeta si prendono e si portano allo spasso…

Nessuno ha avuto il coraggio o sentito il “bisogno” di pensare diversamente alla cosa: per sempre felici e giocosi i Temporanei.

[…]

 

 

* Alinbarca Saltacorna

 

(discorso di Fra Tremante Moltitudo a don Bévotiro Tuttonelglobale, meglio conosciuto come dottor Faccioillavorodidio)

 

Avere umane misure non potete. Alla vostra versatile misera follia non crediamo più. Solo paura inganni e imposture costruire sapete. Da adesso non vi temiamo più.

 

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