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Il sovranismo serve a prolungare la palude di pensiero del Novecento

Corsivo di Ireneo Corbacci

 

Molti sovranisti, a parole in libertà, sostengono di essere “oltre la sinistra e la destra”, al di là delle ideologie del Novecento. Andiamoci piano: i dominanti e i loro agenti, a seconda della “fase”, possono rimanere gli stessi passando, che so, dalle autoriduzioni a teatro nel ‘68 alla presidenza dell’INPS azionista della Banca d’Italia; i peones, loro antagonisti, possono anch’essi rivoltarsi nell’identico oggi che sono diventati sovranisti, magari transitando disinvoltamente dal centro sociale al talk show su LA7.

Se erano di sinistra possono apparire di destra e viceversa, ma appena li senti parlare “fuori da un evento” di comunicazione qualsiasi, ti accorgi che il loro DNA non è cambiato. Hanno la medesima consapevolezza del loro “pubblico”, il cosiddetto ceto semicolto italiano fatto di gente che secondo l’ISTAT legge in media 3 libri all’anno. Quindi, considerata la “fonte” ISTAT, la realtà di quanti leggono è anche peggiore (e poi, con quale testa leggono quelli che leggono?).

Alcuni sovranisti si sono avvolti in vesti “ecologiche”, altri sono divenuti fini “teorici della moneta” (sovrana essa stessa, popolare, che sembra tuttavia provenire dal blu dipinto di blu), altri ancora hanno scoperto sulla via di Damasco la questione della patria, della nazione, della comunità, della tradizione: declinate secondo un arco di sfumature che va da Gramsci a Nietzsche, da Machiavelli a Gianfranco Miglio…

Vi è tuttavia un’idea che li accomuna, una gabbia di pensiero talvolta perfino dorata: quella secondo la quale «solo la sovranità politica possa contrapporsi alla potenza del capitale». (1)

Scusate se è poco, ma questo è uno dei massimi retaggi del Novecento che si dice di aver superato, la base teorica di tutti gli antagonismi storici (di sinistra e di destra) usciti vergognosamente sconfitti dal “confronto” con gli agenti del capitale.

Una “sovranità politica” che si fonda sul primato dell’agire politico rimanda, come già accennato nel precedente corsivo, all’accettazione della scienza e della tecnologia con le quali il capitale ha forgiato la sua “società moderna”. Se queste, come essi credono, sono il prodotto del progresso e patrimonio di conoscenza dell’intera umanità da non più discutere e da assumere in quanto tali, magari provando ad usarle “diversamente” (per ipotetici “scopi diversi”), non resta che affidarsi al (supposto) libero arbitrio del soggetto politico per contendere al capitale e ai suoi agenti l’egemonia dentro la società.

Con questo, i sovranisti sono a dirci: la società, volenti o nolenti, è quella che è (ed è la società del capitale); possiamo e dobbiamo agire alcuni suoi strumenti “politici” per correggerne certe tendenze troppo distruttive e per preparare il terreno all’avvento di una “società più giusta”.

Ma è questo un messaggio che va “oltre” il Novecento?

Assolutamente no, anche se vien venduto per tale, abbigliato in un modo o nell’altro. Sovranisti che spacciano per rivoluzionario un piano di opere pubbliche che Fanfani (sì, Fanfani!) avrebbe ritenuto “liberista di destra”; intenditori di geopolitica e multipolarismo che plaudono al “riequilibrio” dei rapporti di forza con la Germania e la Francia in tema di “immigrazione” e al governo Conte che, per riuscirvi, si infeuda sempre più al Pentagono favellando, già a luglio, di «una cabina di regia permanente Italia-Usa nel Mediterraneo allargato»; giornalisti di formazione liberale, radicale e ribellista che plaudono alla proposta di reddito di cittadinanza del Movimento Cinque Stelle mentre discettano di recupero della “sovranità monetaria” mediante un piano B di (impossibile) “uscita concordata” dalla zona euro.

In Italia la mossa comune dei sovranisti assume le coloriture più stravaganti, con interi comparti di risulta del ceto politico del Novecento ridotti a farfugliare negli attuali salotti rissosi (televisivi e in rete) con una leva di giovanotti cresciuti dopo la “fine delle ideologie”.

Nei prossimi corsivi non prenderò in esame il grosso di questi comparti e di quella leva, ma solo alcune “punte avanzate” che rappresentano, in modo più emblematico di altre, la schiavitù ideale (rispetto al capitale, ai suoi agenti, alle sue “tendenze culturali”) della teoria che essi incarnano: il primato dell’agire politico.

Per adesso, giusto per intendersi, ci vuole un doveroso chiarimento, che comunque ripeterò ancora in diverse salse più volte: i sovranisti italiani, nati e cresciuti con l’idea di un antagonismo politico (verso l’Unione Europea, verso le “oligarchie mondialiste”, verso il “turbocapitalismo”, ecc.), si muovono in un quadro di “compatibilità sistemiche” che essi in verità non vogliono discutere e che è stato lasciato filtrare verso di loro dagli agenti del capitale (comunque mascherati: ecologisti, teorici della sovranità monetaria, giuristi costituzionali, cultori di bio e geopolitica, ecc.).

E siccome, per tutti i sovranisti, secondo il vecchio detto del buon senso nostrano “da qualche parte bisogna pur cominciare”, essi decidono di cominciare dalla parte peggiore e più sbagliata: dalla posizione per la quale “è comunque meglio agire” più che “stare a pensare”.

Soprattutto, non occorre pensare e comprendere le ragioni della sconfitta storica degli antagonismi del Novecento. Tutti: dalla sinistra estrema alla destra estrema. Queste ragioni non devono essere nemmeno discusse in verità, perché per i sovranisti la società che il capitale ha costruito in alcuni secoli ha già in sé la conoscenza, la scienza e la tecnologia che ci permetteranno “politicamente” di costruirne una differente.

Come se bastasse invertire di segno ciò che il capitale vi ha messo di suo, usandolo come non si può, raccontando alle genti che il mondo cambierà se saranno d’ora in poi i sovranisti a farlo muovere “orientando la tecnoscienza” con una testa politica nuova…

Ma non viene in mente ai sovranisti, specie a quelli più “critici”, che il disastro di tutte le ideologie del Novecento (che ostinatamente proseguono, imbeccati dai soliti agenti…) è derivato proprio da questa visione del mondo?

Una visione che è come un tragico ombrello della storia, sotto il quale, chissà se lo sapranno alcuni “quadri sovranisti fra i più in vista”, si sono raccolti nel corso dei decenni sia grandi e sinceri “nemici del capitale” (Engels, Lenin, Gramsci) sia personaggi “di più bassa statura” (Hitler, Mussolini, Stalin), sia distinti uomini di scienza quali Einstein, Bohr, Fermi, Gödel, Feynman, Hawkins, Tipler e il nostro Boncinelli, tanto per elencare in modo sparso.

Agire, invertire politicamente il segno del capitale, sul suo terreno, con la sua scienza, con le sue categorie di conoscenza, senza provare a costruire una differente visione del mondo che ci faccia agire in un altro modo: ma di quale sovranità possono parlare i sovranisti?

Di una sovranità senza pensiero sovrano, come vedremo.

(1) Salvatore Cingari, Appunti sulla crisi della democrazia in Italia, Milano: Franco Angeli, Democrazia e diritto: LIV, 1, 2017, p. 189.

 

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