Pubblichiamo una nuova recensione di Colonialismo cognitivo da parte di un giovane studioso, Davide Dell’Ombra, che gestisce a sua volta un’altra interessante pagina web: Sitosophia. Lo facciamo con piacere perché prende in considerazione gli argomenti del saggio da un altro punto di vista ancora rispetto alla precedente analisi di Pallassini e può quindi contribuire ad aprirci ancor meglio gli occhi.
Colonialismo cognitivo di Franco Soldani
Recensione di Davide Dell’Ombra
Se, come dice il fisico Roland Omnès, «non si può capire granché del mondo attuale se si ignora la scienza, si può del pari dire che non si può comprendere affatto la scienza se si ignora che cos’è il modo di produzione capitalistico» . Questa la premessa di ogni produzione saggistica di Franco Soldani, inclusa l’ultima: Colonialismo cognitivo, edita nel 2011 da “Faremondo” di Bologna.
Gia nel 2007, con i due imponenti volumi de Le relazioni virtuose, Soldani aveva messo in chiaro alcuni aspetti – per certi versi fondativi – del rapporto tra produzione scientifica e produzione capitalistica, alla luce di una rivisitazione del pensiero di Karl Marx. Si affermava che la scienza ha «incorporato nei suoi sofisticati sistemi d’idee i principi guida del modo di produzione capitalistico» . L’incorporazione, in una effettiva ibridazione, della logica del capitale all’interno dei paradigmi scientifici comporta, da un lato, che la scienza «implica delle scelte, contiene dei fini, e come tale risulta essere preformata dagli intenti di un progetto umano consapevole ed in questo senso ideologico, connotato da specifici giudizi di valore» , dall’altro, che è possibile «interpretare i sistemi di conoscenza scientifici – nella loro complessa struttura teorica e nei loro ciclici mutamenti – come un’enorme spirale cognitiva di forma sostanzialmente circolare» . Quel che forse mancava a quei due volumi era proprio una disamina puntuale della teoria marxiana rispetto al sistema capitalistico odierno, intorno a cui gravitano, secondo Soldani, i paradigmi scientifici stessi. Ebbene, Capitalismo cognitivo può essere considerato una valida appendice a Le relazioni virtuose, proprio in quanto questo particolare ma importante aspetto viene rielaborato e preso ampiamente in esame. Dopo aver enucleato gli «stereotipi della tradizione marxista», Soldani ora elenca le «nozioni fatte sparire o di cui non si è mai avuto sentore» all’interno del percorso di studi marxisti: chi affronta lo studio della «società del capitale» ignora e non può ignorare le «differenze cruciali» emerse tra l’epoca di Marx e quella attuale, ignora l’«effettivo status del soggetto contemporaneo e della sua doppiezza», ignora la «sottile natura delle forme fenomeniche del capitale», ignora insomma l’«effettivo status della scienza», credendo cioè che «la scienza sia conoscenza oggettiva, neutrale e super partes» e, con Althusser, che «il pensiero debba prendere le mosse dal principio d’esistenza fondamentale del “materialismo dialettico”, secondo il quale “non si può conoscere che ciò che è”» . Vengono quindi da Soldani esplicitate anche le «convizioni di Marx rivelatesi inesistenti»: il fatto che il capitale contemplasse un automatismo che ne determinasse il tramonto; l’esistenza di un materialismo storico; la possibilità che il proletariato di fabbrica fosse «un soggetto di per sé rivoluzionario» o costituisse «una classe sociale unificata»; come anche il fatto che la concentrazione di capitali rappresentasse un preludio alla socializzazione dei mezzi di produzione . Alla luce di tutto ciò, il concetto di “capitale” può essere ridisegnato secondo una definizione più ampia e al tempo stesso più precisa: esso è «il concetto con cui viene designato l’ordine sovrano […] che regge e dà origine alla società nel suo insieme, ai soggetti sociali, agli oggetti del mondo di cui possiamo fare esperienza e alla mente dei singoli» . Inteso così, il capitale preforma ogni nostra conoscenza perché si frappone non tanto fra noi e la realtà – dacché questa distinzione per Soldani viene inevitabilmente a cadere (come illustrato nelle diverse e ampie parti del libro, di cui non si può certo dar debito conto qui) – quanto piuttosto fra noi e il nostro stesso modo di produrre la realtà: la scienza riproduce sé stessa proprio come il capitale – questo il suo “ermafroditismo”, «tanto perché partorisce da sola, con pura materia cognitiva, le spiegazioni delle proprie interpretazioni e del suo intero universo di conoscenza, quanto perché contestualmente secerne dall’interno dei suoi sistemi d’idee la fittizia, ma efficacissima, presentazione di se stessa come scoperta delle leggi di natura, dimostrazione dell’ordine ontologico del mondo, comprensione della materia, descrizione razionale dell’universo e addirittura della realtà ultima dell’intero creato» , in fin dei conti in maniere non dissimili dalle formulazioni teologiche. Il nesso capitale-scienza è allora figlio di quello hegelismo ‘alla rovescia’ che fa della politica un mondo distinto da quello della filosofia – è figlio cioè del marxismo. Con le parole di Soldani, scritte nel 2009: «Bisognerebbe, in ogni caso, guardare il mondo con altri occhi e abituarsi a vivere dentro la mente come se fosse l’unico nostro milieu naturale» . Ciò significa, molto semplicemente, che non viviamo che di soli prodotti della mente, che al di fuori del contesto ‘culturale’ generalmente inteso l’uomo non sopravvive un istante, che cercando di cogliere la natura non facciamo altro che scoprire i nostri limiti culturali – altro che regioni remote della galassia o la “vera essenza delle cose”. L’essenza delle cose sono le cose mentre noi le osserviamo – è il movimento della cosa una volta saputa. Sapere, infatti, è agire sulla cosa: pensarla significa innescarla. In ciò consiste l’arcana indistinzione di teoria e prassi. Questo è «guardare il mondo con altri occhi» – guardarlo con gli occhi disincantati non dai miti («parole senza fatti») ma dalle ‘cose stesse’ (il paradosso dei ‘fatti senza parole’). «Tramontato il capitale, – scrive oggi Soldani – tramonterà infatti anche la sua mente apocrifa e con la sua dipartita potrà infine nascere un nuovo intelletto personale e comunitario e persino un diverso e distinto logos umano» . Non sono le cose a subire trasformazioni rivoluzionarie, ma è il nostro modo di guardarle e di pronunziarne il nome a compiere la rivoluzione. Per sua stessa natura, una “rivoluzione” è un giro intorno a sé stessi.
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