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Aforismi italiani del Barchi (estratti)

Estratti dagli Aforismi italiani del Barchi

Emanuele Montagna

 

 

 

Dopo la pubblicazione de Il capitale finanziario al governo, primo contributo di Franco Soldani all’avvio del centro studi, proponiamo in anteprima la Premessa e una scelta di estratti dall’opera in corso di Emanuele Montagna intitolata Aforismi italiani del Barchi. Una prova di scrittura che intende porsi sul cammino di un diverso modo di immaginare la fuoriuscita dalla società del capitale che ci sta facendo vivere una catastrofe di specie storicamente inedita, attraversata oggi con poca o nessuna consapevolezza a causa di quella che viene qui chiamata desertificazione mentale. Ad essa si può cominciare a sfuggire – è l’idea dell’autore – a condizione di non cadere più nel grande inganno ideologico costruito dai dominanti a partire dalla temibile triade scienza-teologia-democrazia

Premessa

 

Se non è già evidente presto lo sarà, finanche al cospetto dell’arbitrio – che si pretende sovrano – di chi non vuole pensarci…

 

Nella società dove il capitale è il principio determinante in divenire – vieppiù sinistro – per tutto il vivente, non esiste (e forse non è mai esistita nemmeno prima, sotto l’impero di altri principi), una “via maestra” – “logica”,“razionale”, di “buon senso” e almeno un po’ rassicurante – per tentare di costruire l’immaginazione di una società differente. Nel concreto, qui ci si trova senz’altro dentro un mare aperto e senza riva, indefinitamente periglioso, infiltrato da migliaia di agenzie dedite al brutto e al nefando. E accade spesso che, appena si pensa di aver “compreso qualcosa” delle sue correnti profonde, occorre disporsi invece di nuovo a non capire, a ridubitare d’ogni idea e relazione in un’atmosfera comunicativa ben più che ostile e, in ogni caso, matrice velenosissima della nostra presente catastrofe. Già sappiamo, del resto, che se talvolta ci si fa trovare impreparati a queste “altezze nell’oscurità”, l’inganno più sottile malignamente si reinfiltra nella nostra mente e in modo inedito ancora ci confonde secondo i suoi temibili principi di logica versatile. Così è nel “concreto” e “quotidiano” di tutti ad ogni latitudine, anche se non ci pare e non ci piace riconoscerlo.

 

In queste circostanze – ahinoi tutte soverchiamente schierate contro la vita della specie e negatrici di ogni equilibrio eco-bio-sociale possibile – possiamo figurarci quali sofisticati schermi di fumo cognitivamente letali possano offuscare le menti di quanti si provano ancora a credere all’esistenza di una “via maestra” in qualsiasi modo derivata dalla triade scienza-teologia-democrazia: sin qui la più potente macchina ideologica costruita a sua immagine e somiglianza dal principio determinante al fine di poter durare nel suo progetto di dominio planetario su popoli e moltitudini. Per non parlare delle paludi del pensiero e delle afasie cognitive in cui piombano quanti si rifanno a tutto il corredo – per principio spietatamente nichilistico – degli innumerevoli sottoprodotti tossici di quella macchina ideologica (progresso, tecnologia, libertà, mercato, globalizzazione, ecologia, sostenibilità, crescita, decrescita, ecc.): tutte enormi patacche acchiappa-menti, d’origine accademica o mediatica poco importa, ormai decisamente impresentabili perfino agli occhi di diversi sostenitori fintamente illuminati della triade, nella loro movenza fumogena a volte accompagnati ignobilmente da un tappetino pullulante di oppositori fittizi particolarmente petulanti e sinistri.

 

Ora, tutta questa mediocre, colpevole e infinitamente riprovevole acquiescenza all’inganno della triade scienza-teologia-democrazia, è quanto di più insidioso possa ammorbarci oggi, nel tempo in cui le moltitudini (e in esse tutti gli strati “acculturati” e “intellettuali”) si trovano a navigare – sballottate da imponente ridondanza “informativa” – nella desertificazione mentale prodotta by design dai dominanti mediante agire metodico e infiltrazione cognitiva ante litteram durante (perlomeno) tutti gli ultimi quattro-cinque decenni (ma con categorie e prassi socio-politiche ben operanti già a fine Ottocento…). Una desertificazione via via più epidemica e raggelante, rivelatasi insieme troppo profonda ed estesa per poter essere percorsa e restituita “in narrazione”. Essa è divenuta oggi l’aspetto senz’altro più terribile e più difficilmente revocabile della situazione sommamente disastrata in cui ci tocca senza posa tribolare per poter sopravvivere secondo poca o quasi nulla vita.

 

Disseminati tra sabbie inerti i propri specchi infranti, la desertificazione non ha più lasciato alcun segnavia al pensiero e l’occhio della specie ha quasi spento dopo averlo fatto bersaglio di miliardi di allucinazioni cognitive. In tal modo, e col concorso incessante dell’apparato segnico-bellico formato dai Megamedia, i dominanti cercano di inibire ad oltranza l’apparizione di un qualsiasi lampo di immaginazione non preventivamente indotta, fabbricata, “legittimata” o comunque “addomesticata” secondo le categorie ammesse entro la loro tenebra imperante.

 

A mio avviso, in queste condizioni planetarie inedite ed invero già estreme per la vita, non possono essere l’usuale scrittura “narrativa” e la classica forma-saggio – anch’esse peraltro convenzioni fissate tramite mille legacci astuti al pensiero dominante – le sole lucerne a portata di mano da accendere per guidarci sulla via dell’immaginazione; ovvero le “chiavi” e, se si vuole, le “riserve di lampi” non ancora ben esplorate che possono aiutarci nel tentativo di scorgere altri orizzonti.

 

Anzi: se la scrittura senz’altro aggettivo vuole ancora pretendere per sé un senso – tornare ad essere tale, ovvero fonte di verità e di speranza per il vivente tout court – essa non ha altra scelta che quella di imboccare la via di una immaginazione di specie differente: fuori e irrevocabilmente, da subito e per sempre, da tutto il culturame post-spettacolo che ci pervade e che ci spacciano imperterriti come l’approdo dell’unica civiltà possibile e il culmine storico dell’umanità “senza alcuna alternativa”.

 

La sola immaginazione che per me conta come tale è quella di una scrittura (o di un pensiero, un’arte, una “teoria” ecc.) che in primis dica la verità a questi “livelli” e perciò stesso mandi lampi estranei nella tenebra intuendo e/o preparando il cammino della fuoriuscita già da ora, in mezzo alla catastrofe che dura. Se e quando riesce a fare questo, la scrittura si costruisce come forma di pensiero che non diviene mai dogma o sistema ideologico in qualche modo infeudato al principio determinante. Soltanto questa differenza specifica la distingue, come opera propria dello scrittore, da tutto il resto delle scritture esistenti generate da giornalisti, politici, filosofi, uomini di scienza e simili. In mancanza dell’opera degli scrittori, vige appunto tutta questa abietta scrittura purchessia, quella che attualmente viene pompata e fatta girare per il mondo dal “mercato”, quella che non ha proprio alcuna ragione di esistere per l’immaginazione di società di cui parlo, essendo e restando per definizione una sorta di granello di sterco indurito sotto la cappa oscurante eretta dalla cultura d’Occidente giusto a colpi di scienza-teologia-democrazia.

 

Stante questo contesto, gli aforismi e i testi diversi che seguono, primi estratti da un’opera in via di lieve facimento respiratorio, raccontano in modo erratico, un po’ per stralunata tempesta di lampi e qua e là per fragore di riso, le miserie distintive, gli inganni e la catastrofe attuale – insieme circolare e irredimibile – di questa cultura fattasi mondo. L’obiettivo è tuttavia sempre lo stesso, qui come negli altri contributi del Centro studi Juan de Mairena: cercare un diverso modo immaginativo e relazionale per fare mondo, il che vuol dire porsi nella condizione societaria più concreta per uscire fuori da questa catastrofe che ha per sua natura – a differenza di quelle vissute nel passato, prima del capitale quale principio determinante – il potere storicamente inedito di travolgerci a mo’ di novella estinzione di massa coinvolgente per certo l’intera specie umana insieme ad un numero difficilmente precisabile ma comunque grande di altre specie viventi.

 

Questo è allora – per me scrittore come, immagino, per gli amanti del vivente – il compito più concreto: prepararsi dentro alla revoca dell’infiltrazione cognitiva dominante; immaginare mondi difformi solo in apparenza lontani, insensati e “non in funzione” sempre; sopportare dignitosamente la congiura del silenzio riguardo la propria opera, scansare gli strali e demolire le accuse di insania da parte dell’establishment; costruire intanto relazioni differenti e anticorpi di senso fuori dal denaro, da questa scienza, da questa tecnologia e dalla sedicente democrazia; e fuori anche da ogni corsa contro il tempo (cioè contro la vita di tutti), così come fuori da ogni competizione; mettendo semmai alla prova queste relazioni e questi anticorpi, una volta che saranno ben formati, lungo un’opera paziente di disarticolazione interna delle narrazioni dominanti, da svolgere ovunque risulti possibile mentre si rimane ancora per forza di cose sotto l’impero della catastrofe…

 

Ma è ancora umanamente proponibile questo compito? L’interrogativo, per chi si pensa scrittore nel senso sopra richiamato, non sarebbe nemmeno da avanzare. Certo che il compito è proponibile (e, umanamente parlando, più che mai vitale): nominarlo a chiare lettere vuol dire essere già sulla soglia dell’impegno “operativo”, di quel cammino che, con Juan de Mairena, si fa soltanto strada facendo mediante questi nostri primi, decisivi passi immaginativi. Questo compito, per quanto e appunto perché fuori dal tempo, forma esattamente il modo attuale della nostra sopravvivenza ardua, dell’unica nostra vita possibile in questa società. Che il suddetto interrogativo se lo pongano invece in modo retorico – sottintendendo ovviamente una risposta negativa – gli attuali scienziati, i filosofi, gli accademici in genere, un politico residuato o qualche giornalista sopravvissuto, fa parte del gioco della catastrofe che tutti costoro impersonano e/o intendono far durare. Non saranno mai abbastanza vituperati per questo, vista la gravità mortifera di quello che fanno… Occorre tuttavia ricordarsi di non dilapidare in quest’opera pur giusta e necessaria le ancora scarse energie immaginative in formazione.

 

Con questa serie di avvertenze preliminari e con l’aggiunta di qualche altra chiave di lettura critica ricavabile dal contributo di Franco Soldani all’avvio del centro studi, mi auguro che i presenti Aforismi italiani del Barchi, per quanto di “forma” diversa e “mossi” dentro con argomenti assai eterogenei fra loro,non riescano affatto “ermetici”, bensì possano essere di stimolo alla riflessione immaginativa differente di quanti non vogliono più ingerire senza reagire i semi mortiferi dell’esistente.

 

Viviamo allora diversamente la catastrofe e ce ne andiamo ridenti a spargere semi estranei nel deserto fatto putrido silicio. Il domani, se ci sarà, non potrà che essere l’opera immaginativa e costruttiva di un modo differente di stare al mondo: con “valori” oggi estranei, non competitivi e non mercantili; di ribellione al brutto e con un senso del bello capace di disegnare un reticolo societario vivente nella cura di tutti; vera e propria culla di una conoscenza “scientifica” non stupidamente manipolatrice ed antropocentrica, bensì saldamente ancorata a idee di rispetto, d’equilibrio e d’armonia entro il vivente.

 

 

 

Vette dell’inganno. Il faro dell’oscurità di notte

 

 

 

Prima scelta (gennaio 2013)

 

 

 

Dio ha avuto in dono dagli uomini un arsenale di titoli e nomi assai vasto.

 

Fra questi anche l’appellativo – sommamente dubbio – di amico degli uomini.

 

 

 

 — —

 

 

 

Dio si rigirò un poco e senz’altro moto sbottò:

 

 

 

l’universo produce

 

la mente si seduce

 

e poi mi sembra truce

 

— —

 

 

Tu non esisti – dissero al Barchi.

 

Dunque, non puoi cessare di esistere – aggiunsero.

 

E il Barchi: ma questo tu è eterno!

 

Un’assurdità incarnata, senza inizio e senza fine.

 

Che strana identità: sarà la solitudine procurata della specie che pesa

 

 

 

 — —

 

 

 

Assunzione infondata prima. Il capotribù dipende ancora dallo stregone.

 

Primo salto. Il capotribù è lo stregone.

 

Nuova partenza. Lo stregone e il capotribù hanno identico pensiero.

 

Metamorfosi diffusa. La tribù è formata all’identico pensiero.

 

Esito dell’inizio. L’identico pensiero, a questo punto, vede la natura e il mondo.

 

 

— —

 

 

 

Le navicelle dei loro oggetti stanno nei porti senza mare e senza riva della loro immaginazione.

 

Spazientito e corroso dal mal dei naviganti, più d’uno ha aspirato al punto fermo…

 

 

Oh liber mundi

 

l’essenze perfette del creato e del creabile

 

per me racchiudi

 

 

Vana pretesa – pensò il Barchi – tuttavia sufficiente a far debuttare la narrazione.

 

E quando il narratore giungerà a identificarsi col Grande Architetto dell’universo – cogitò ancora – sarà perché l’avrà immaginato al di fuori di sé, ovvero per nulla meditato.

 

 Liber mundi dell’inganno: dicesi il concreto che determina.

 

E poi ci sarebbero i fatti conclamati: disastrose conseguenze secolari su cui la conoscenza (filosofia e teologia e scienza) favoleggia.

 

 

 

 — —

Evanescenze di e con pensiero?

 

La sottigliezza metafisica si può insinuare dappertutto – sottolineò il Barchi.

 

Ma la sottigliezza teologica è superiore – replicò il docente di antropologia teologica.

 

Essa – aggiunse – è in grado di dissociare dall’interno ogni cosa e, ciò facendo, riesce tuttavia a nascondere la sua manina magica che nel mistero riassocia ciò che vuole…

 

All’improvviso, dall’ultimo scranno a destra oltre il fiume, a pochi centimetri dalla telecamera d’ordinanza, risuonò una voce – forse quella di Dio – che apostrofò entrambi in questo modo:

 

ditemi allora, miei sapienti, perché mai ogni sottigliezza metafisica e teologica va da sempre ad infrangersi contro l’enorme scoglio umano dell’atto di pensiero, dell’assunzione a priori che ritorna: il capriccio sommo che ride di tutti i capricci più sottili.

 

— —

 

 

Dio piovve per quasi tre mesi in vaste aree dell’emisfero boreale: ben si comprende lo sciame dei timori umani.

 

I grandi media si divisero. È cambiato il clima oltre ogni nostra previsione… No: è l’effetto delle trivellazioni… Non arrovellatevi: era tutto già scritto nella profezia di Pinkolìfa, sciamano siberiano del XVI secolo.

 

Dio per un po’ stette a sentire. Poi, annoiato, ruppe gli indugi: che piova incessantemente per altri tre anni sulla civiltà che avete voluto – disse.

 

E Dio piovve così tanto che pianure intere ne furono sommerse.

 

Così Dio riprese la parola e di sé argomentò:

 

sono un processo non un oggetto

 

mutevole e unitario

 

il mio pensiero è unito ad altri miei pensieri

 

e il vostro pensiero ai vostri

 

non sono mai stato il pensiero di nessuno dei presenti

 

 

— —

 

 

(Dio e le umane idee di scienza)

 

 

Infine Dio chiarì il suo punto di vista:

 

il vostro cervello e la vostra mente non sono fatti per coltivare una visione scientifica del mondo. Amen.

 

Al che il Barchi, in questo distinguendosi dalla lettura prevalente dei fabbricati giornali on line, replicò:

 

in questo modo lo stesso creatore ci certifica che più importante di tutto è l’armonia dell’homo sapiens dentro la sua nicchia ecologica, anche senza una scienza degna di questo nome…

 

Allora Dio, quasi a congedarsi per la lunga notte, lasciò queste parole:

 

le più assurde fantasie non vi nuocciono

 

esse non vi rovinano l’adattamento

 

giammai e in alcun modo

 

se anzi alimentano l’allegria vostra

 

dissolvono anche tutte le speciali

 

di voi umani soltanto

 

idee di scienza

 

 

— —

Goldman Sachs Tower (edificio più alto) nel New Jersey stock photography

Vette dell’inganno. Il faro dell’oscurità di giorno

 

 

(Il Barchi alla lezione di biologia della conoscenza)

 

 

Docente

 

Dio è l’osservatore unico, l’osservatore di se stesso.

 

La sua parola su se stesso è lui stesso. Meglio non definirlo oltre.

 

 

Il Barchi

 

Per questo gli uomini (non più di qualche d’uno per epoca, invero) hanno inventato la mediazione…

 

Quella cosa che rischiara da tenere nell’oscurità, o che il diavolo ha fatto sparire.

 

Da quando si dice modernità, un putrido vezzo intellettuale ha stabilito:

 

congiura del silenzio contro la mediazione sparita.

 

 

Docente

 

Se fosse andata come lei argomenta, Dio stesso, adirato, avrebbe provveduto a fare giustizia ripristinando la mediazione e i suoi diritti. Ma così non è avvenuto e non avviene. Come spiega questo fatto?

 

 

Il Barchi

 

La società tenuta sotto stress mai immaginativo, prima o poi, delira. Quando Dio stesso è parte o tirato dalla parte dello stress si trova anche (lei lo sa) chi lavora per lui sentendosi lui e chi fa il suo lavoro credendosi ineffabilmente “al di sopra”. È a questo livello che la mediazione non s’ha assolutamente da vedere. Ed è qui che proprio non c’entrano né il suo “ripristino” né i suoi “diritti” chissà se e quanto riconosciuti da parte di Dio. Lei travisa in questo modo uno dei primi articoli di fede posti a difesa del Potere: far sparire la mediazione e, quindi, ogni possibile visione differente del nesso natura-specie umana. Faccia lei, ma si ricordi che, essendo arrivato dopo tutti gli inganni ultimi, lei appare francamente pleonastico come novello guardiano dell’occultamento e dell’omertà… Ecco come spiego diversamente il suo supposto fatto, che lei aveva semplicemente assunto e fondato nel nulla per i porci comodi della corporazione sua e della civiltà del terrore che lei – sottile docente senza alcuna decenza – serve.

 

 

— —

 

 

(Dell’effigie o del dogma del signor Monti)

 

 

in sonno in dormiveglia sullo scrittoio unto

 

obbligata dal calcolo “naturale” del principio che la regge

 

davanti all’automatico in recita permanente

 

vilissima la sua grigia servitudine non s’agita senza scopo

 

ci fosse residuo o immagine di vita mascherata

 

potrebbe tirarsela ancora fino all’ultima fiera d’Europa

 

error 404: una saga tutta pagana qui non c’è mai stata

 

prima o dopo il ’92 solo pace arcobaleno rapace

 

fisima turbinosa e coatta del supremo advisor dell’inganno

 

fa aprire la sua mandibola fuori dal ritmo del suono

 

dove non ci sono parole da dentro arcuate

 

se e quando un topo di banca rifulge abietto

 

la parlata del moschicida ci presenta la corda all’uscio

 

mentre della mente i recessi epura

 

anche se lo pensi non lo puoi pensare – ci ripete l’ossessionato

 

con la sua accademica nichil-ignobile mimica facciale

 

il segnale interno della paura del lapsus lo bracca senza posa

 

da resettato e piccolo commesso si porterà nella tomba quella criminale pausa in bocca

 

instrumentum regni della sua corporale orrifica bagascia banca

 

 


 Vita stupidamente obbligata nello schermo di fumo

— —

 

 

(Senza fiori di Camusso)

 

 

assenza piena di vetta tutta a costo zero per la carriera esimia

 

principessa supergaloppina nella corsa alle bieche indulgenze

 

del disastro italico cogestito con febbrile terrore

 

orgoglio marcio e frutto alla moda “di genere”

 

fango in dischi a porte chiuse impila

 

delle lacrime sue dell’assassino e del mandante

 

senza distinzione

 

spargendo ricatto da comare gessata

 

agita la teca

 

 

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Prototipo di donna sindacale mentalmente desertificata

sedotta nell’abbraccio tetro dell’abisso di civiltà


 

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